Alla manifestazione nazionale lanciata dai giovani palestinesi per chiedere l'immediato cessate il fuoco in Palestina, hanno partecipato cinquantamila persone, secondo i promotori, quindicimila per la Questura. Ecco come è andata e quel che i media mainstream non raccontano

Da piazzale Loreto a piazza Cairoli: a Milano, nel ventesimo sabato dall’inizio dei bombardamenti israeliani su Gaza, la manifestazione nazionale lanciata dai giovani palestinesi, per chiedere l’immediato cessate il fuoco in Palestina. Più di cinquantamila persone, secondo i promotori, quindicimila per la Questura, in un gioco di numeri che che sembra voglia banalizzare la potenza e la necessità di un appuntamento di questo tipo.

Quella che si è data ieri non è stato altro che una risposta forte e pacifica ai manganelli di Pisa e Firenze contro studenti inermi, un fiume in piena che ha sfilato per circa quattro ore, tra le realtà aderenti associazioni, sindacati di base e realtà antagoniste: che la risposta sarebbe stata reattiva lo si poteva immaginare già contando le adesioni e i pullman arrivati in città, circa settanta.

Ad aprire il corteo le comunità e le associazioni palestinesi, poi – scelta insolita – le sigle sindacali, a seguire le realtà studentesche e i centri sociali, tante le reti solidali che hanno voluto essere al fianco di chi la diaspora la subisce da generazioni. Una miriade di “anime”, anche molto diverse tra loro, che ha come sentire comune quello di rompere la narrazione a senso unico che capeggia nel dibattito pubblico e politico nazionale.

«Con la resistenza palestinese, blocchiamo le guerre coloniali e imperialiste», recitava lo striscione d’apertura scritto in italiano e arabo, interdetto invece il centro storico e negato l’arrivo in piazza Duomo. Ovunque bandiere della Palestina, «un sasso qui, un sasso là, intifada pure qua», è uno degli slogan che va per la maggiore, tra i cartelli esposti, anche alcune sagome  rappresentate come “insanguinate” di politici, tra cui la premier Giorgia Melon, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e i ministri Guido Crosetto e Giuseppe Valditara.

foto di Nicola Brescacin

Immagini forti, provocatorie, per invitare a riflettere sul fatto che è stato proprio il ministro dell’Istruzione sul piano culturale a indossare culturalmente il pugno di ferro del governo contro la causa palestinese, partendo direttamente dalle scuole e dall’attivismo giovanile. Già all’indomani del 7 ottobre con una decisione senza precedenti Valditara aveva disposto l’invio di ispettori in due istituti scolastici meneghini – l’Educandato statale Setti Carraro e il liceo Manzoni -, auspicando addirittura l’arresto degli studenti che manifestavano il loro sostegno alle azioni intraprese dalle sigle della resistenza palestinese, giustificandola come lotta contro l’«antisemitismo». Un pugno di ferro usato poi fattivamente dalle forze dell’ordine a Pisa, come Firenze e Catania.
Milano ha risposto anche a questo, attraverso la voce dello spezzone studentesco, che ha rivendicato le decine di occupazioni che ci sono state nelle università italiane e che sollecita per l’ennesima volta la rottura dei tanti accordi che gli Atenei hanno con aziende israeliane coinvolte in questa guerra.

Associare quello che sta succedendo a Gaza e in tutta la Palestina al termine genocidio non è più un tabù, e non solo perché è stato detto sul palco di Sanremo, ma anche e soprattutto grazie alle tante mobilitazioni che hanno costellato la Penisola e il mondo intero in questi mesi.
Difficile negare che le responsabilità del governo italiano siano sempre più evidenti: dall’aumento delle spese militari fino alla leadership della missione militare europea nel Mar Rosso, il governo Meloni sta indirizzando il suo operato proprio nell’ottica di una continua escalation militare.

A parte, quindi, poche azioni estemporanee,  il corteo si è svolto in modo tranquillo. Rimane però la gravità della sua espulsione dal centro, della sua sotto rapresentazione dai grandi media, della rimozione delle sue ragioni da parte della cultura accademica. Questa estromissione, questo divieto di accedere al centro della vita pubblica, reale e figurato, è qualcosa che colpisce non solo un corteo. La reazione davanti alle piazze che denunciano ciò che succede in Palestina è qualcosa che mostra come interi pezzi della società italiana siano silenziati e censurati. I continui inviti a “fermare il genocidio” sono stati il leitmotiv della giornata, “oggi Milano è di nuovo palestinese”, è stato detto dal camion in apertura, spiegando di essere scesi in piazza per “esistere e resistere”.

Il corteo si è concluso in Largo Cairoli, dove il monumento dedicato a Giuseppe Garibaldi è stato spontaneamente “invaso” da decine di persone che sventolavano la bandiera palestinese. A vederla, è stata una risposta forse più d’impatto alle vergognose manganellate del giorno prima a Pisa e Firenze, la rivendicazione più immediata di un legittimo diritto a manifestare il crescente dissenso contro le politiche genocide di Benjamin Netanyahu, che il giorno prima è stato brutalmente negato.

 

Foto della manifestazione di Milano di Nicola Brescacin