In libreria il nuovo saggio di Luciano Canfora in cui il filologo compie un’incisiva rassegna del mito della superiorità razziale nel mondo antico fino al suprematismo dell’Ottocento e alle declinazioni razziste attuali
«Con tutto il rispetto, è possibile professore che anche lei cada nella trappola di ricordare il fascismo? Noi oggi abbiamo ben altre preoccupazioni. Il fascismo non tornerà mai più». Mostrando Il fascismo non è mai morto (Dedalo edizioni), che reca in copertina l’iconico profilo bianco di Mussolini in campo nero, Corrado Augias accoglie l’autore Luciano Canfora a La torre di Babele (sul canale tv La7, il 5 febbraio). Da qualche anno molti democratici dell’attuale sinistra, chiamati a parlare della crisi politica, si affrettano a ripetere il ritornello come uno scongiuro, scacciando l’apparizione di un fantasma. «L’affermazione è priva di senso - replica il professore - il fascismo è vivo, e prospera accanto a noi». E citando autori greci, prende a delinearne con tratti decisi l’isomorfismo, ovvero la proprietà di essere, attraverso diverse trasformazioni, sempre uguale. La caratteristica, documentata con efficacia nel piccolo libro, è chiaramente enunciata nella dedica in quarta di copertina: «Per tutti quelli che sono impegnati a convincere soprattutto sé stessi che il fascismo “è finito nell’aprile 1945”». Il ruolo di forze apertamente neofasciste nell’opera di demolizione della Repubblica, combinato con quello occulto dei terrorismi di destra e di una sedicente "sinistra", è stato evidente. A partire dalla nascita dell’Msi, fondato il 26 dicembre del 1946 da fascisti che avevano militato nella Rsi e che fin dalla sigla prescelta si presentavano in continuità come baluardo anticomunista, l’azione corrosiva - scrive Canfora - è ad oggi ininterrotta. Il processo ha subìto una continua accelerazione a partire dalla caduta del muro di Berlino, e con la successiva crisi, agonia e morte dei partiti. Il lettore è messo davanti alla cruda evidenza: la Repubblica italiana, nata dalla Resistenza assieme alla Costituzione, di fatto non è più tale. Il re è nudo, la diagnosi è spietata.

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