La missione “Aspides” appena varata sotto l’egida dell’Unione europea e della Politica estera di sicurezza comune (Pesc) e della durata prevista di un anno ha sollevato alcuni dubbi al momento del suo lancio. La missione è la risposta dell’Unione europea agli attacchi del governo Huthi dello Yemen verso vascelli commerciali dei Paesi membri. Le perplessità della maggioranza dei commentatori sono sull’inquadramento generale della missione, che ha visto un solerte intervento dell’Unione e una decisiva proattività del governo italiano solo nel momento in cui le intemperanze degli Huthi dello Yemen hanno iniziato a mettere in crisi il commercio internazionale. Tuttavia si ricorda, a ragione, la guerra civile in Yemen è in corso dal 2014, e procede sull’onda lunga delle rivolte arabe del 2011 e per anni la crisi tramutatasi in guerra civile è stata considerata un territorio dello scontro fra la potenza regionale araba e quella iraniana. Al contempo la non ingerenza occidentale, in particolare europea, ha portato a sottostimare e non dare evidenza mediatica a quanto avveniva nel Paese della penisola araba, salvo dare campo libero a Paesi come l’Italia autentico freerider del commercio internazionale di armi. Imprese italiane infatti, agendo come appaltatrici o fornitrici dirette hanno rifornito per anni la Coalizione a guida Saudita che bombardava indiscriminatamente i ribelli e i civili. Pertanto la critica principale mossa alla reattività italiana, ed europea, è che ad esempio mentre la fornitura di armi utilizzate contro gli Huthi è durata per anni la soluzione militare contro la fazione yemenita è stata presa con estrema solerzia alle prime avvisaglie e minacce.
Tuttavia a questa prima evidente incongruenza si devono purtroppo aggiungere alcuni dubbi che sorgono da un esame degli atti che autorizzano il lancio della missione “Aspides” e dalla situazione geopolitica dell’area.
Le regole d’ingaggio della missione “Aspides” e l’impegno italiano
L’impegno del governo italiano ha un carattere positivo di facciata e mette in evidenza le capacità di Marina e Aeronautica militare (probabilmente interessata alla missione) che sono sempre state attive nell’antipirateria e che dimostrano le competenze tecniche e strategiche per condurre un’importante attività alle porte dell’Area dell’Indo-Pacifico.Vale la pena di rammentare l’importanza geopolitica del teatro delle operazioni.
La guida della missione è affidata ad un Ammiraglio greco (Commodoro) mentre la guida del comando operativo sarà, o dovrebbe essere, come vedremo, italiana. La catena di comando internazionale è chiara, tuttavia restano dei dubbi sulle Regole di ingaggio della missione: la decisione del Consiglio degli esteri dell’Unione europea che istituisce la missione (Decisione 583 del febbraio 2024), all’Articolo 1- Missione afferma che la missione dovrà, per quanto nelle sue capacità, scortare vascelli commerciali dei Paesi dell’Unione nell’Area di operazione. La suddetta area è però tutt’altro che circoscritta, essendo definita come lo spazio di mare tra Bab el-Mandeb e Hormuz, incluse le acque (internazionali) del Mar rosso, del Golfo di Aden, del Mare arabico, del Golfo persico e del golfo di Oman. Un’area pressoché enorme se paragonata alle forze che si intendono schierare: l’Italia intenderebbe inviare un solo cacciatorpediniere, così come anche gli altri Paesi partecipanti sembrano intenzionati a esprimere forze risicate. Ma il documento istitutivo, oltre a dubbi di fattibilità riguardo all’area da garantire, instilla forti dubbi anche sul tipo di forza che dovrà essere utilizzata. Nella Decisione 583/2024 infatti viene affermato che l’utilizzo della forza è possibile nei canonici principi di necessità e proporzionalità in un «sub-area dell’Area di Operazioni» (sic!). Orbene è solo ipotetico affermare che la forza possa essere utilizzata nelle aree antistanti lo Yemen (minaccia principale per la quale la missione è stata lanciata), tuttavia quest’area potrebbe essere estesa dai Paesi partecipanti, in teoria, pur rimanendo in quella definita o nelle sue adiacenze avverso qualsiasi altra minaccia. È certo complesso quindi definire nel particolare le Regole d’ingaggio da impartire ai militari impegnati e questo potrebbe portare a problemi non secondari.
I Paesi limitrofi, l’interesse per l’Europa e… il Parlamento?
Nel documento istitutivo dell’operazione viene incoraggiata altresì la cooperazione con Paesi esterni all’Unione con riferimento anche a Paesi del Golfo, come l’Arabia saudita. Riad d’altronde è impegnata in una de-escalation del conflitto in Yemen a seguito dell’accordo con l’Iran del marzo 2023, ma, perché no, potrebbe vedere, in futuro, una finestra di opportunità per rinfocolare il conflitto nelle pieghe di una missione guidata dall’Italia.
L’interesse dell’Unione è certo quello di una stabilità marittima nella regione, porta dell’Indo-Pacifico come detto, tuttavia, è certamente scontato ma va ripetuto, la stabilità andrebbe ottenuta partendo dai nodi principali dell’area: l’invasione militare che Israele sta perpetrando a Gaza e la crisi/conflitto che oppone l’Arabia all’Iran. Seppure infatti una missione di stabilizzazione, con una connotazione e delle regole di ingaggio chiare, possa essere un corollario importante, è fondamentale un’azione politica, come ad esempio la ricerca di un “cessate il fuoco” a Gaza.
Intanto anche sul sito del Ministero della difesa (che peraltro molto correttamente precisa l’attesa del voto) vengono definite le predisposizioni e le unità che verranno più probabilmente impiegate nella missione e manca solo un piccolo particolare da espletare, una formalità insomma: il Parlamento italiano non ha votato la missione né sembra che sia in procinto di tenere alcuna seduta per farlo sino al 5 marzo. Così mentre il governo appare indaffarato a risolvere nodi legati alla politica interna e il Parlamento temporeggia, navi francesi che dovrebbero essere sotto il controllo dell’operazione “Aspides” e del comando italiano (ci ricorda anche l’agenzia cinese Xinhua News) hanno iniziato a combattere abbattendo droni Huthi da oltre una settimana.
In conclusione lo stato dell’arte della missione “Aspides” consiste nella presenza di navi nella zona di operazione senza una guida operativa sul campo (che dovrebbe essere quella italiana), azioni militari già in corso a cura dei singoli Paesi e una generale abnorme libertà di movimento della missione. Questo fa pensare più a squadre di navi di vari Paesi indipendenti l’uno dall’altro e asserviti alla volontà nazionale più che ad una missione dell’Unione con comune intento discendente dalla Politica estera di sicurezza comune.
L’autore: Francesco Valacchi, cultore della materia e dottorato in Scienze politiche presso l’Università di Pisa
Nella foto: un cacciarpediniere della Marina militare italiana (wikipedia)