La responsabilità medica è il tema di cui si occupa ora anche una commissione ministeriale. Fondamentale è non perdere la relazione tra chi cura e il malato, scrive il docente universitario che da anni propone una nuova visione della sanità pubblica e che oggi esce con un nuovo libro dedicato a questo tema

Il ministro Nordio, come è noto, prendendo atto che, nonostante le leggi fatte in questi anni per proteggere i medici dalle loro responsabilità, i contenziosi legali intentati dai cittadini contro di loro hanno continuato a crescere in modo esponenziale acuendo il fenomeno deteriore della medicina difensivistica, ha deciso di istituire la “Commissione per lo studio e l’approfondimento delle problematiche relative alla colpa professionale medica”.

Le finalità, sono due:
• esplorare l’attuale quadro normativo e giurisprudenziale in cui si inscrive la responsabilità colposa sanitaria per discuterne i limiti e le criticità
• proporre un dibattito in materia di possibili prospettive di riforma e un’approfondita riflessione e un accurato studio sul tema della colpa professionale medica ai fini di ogni utile successivo e ponderato intervento, anche normativo.

Personalmente ho salutato questa decisione, in modo molto favorevole giudicando la proposta del dibattito senz’altro una grande opportunità sia per i medici che per i cittadini ma consapevole anche che senza un altro modo di pensare i problemi e le contraddizioni, questo dibattitto resta difficile e persino rischioso.

Medico vs cittadini. Un conflitto da risolvere

Al fine di dare come si suol dire “una mano” mi sono deciso a scrivere notte tempo un istant book (I.Cavicchi Medico vs cittadini. Un conflitto da risolvere Castelvecchi 2024) e a chiedere a Left considerando l’importanza della questione uno spazio per aprire una discussione .

L’idea è di giocare di anticipo quindi di non aspettare, come in genere avviene con le commissioni, la fine dei lavori.

Il mio scopo è suggerire spunti di riflessione e nuovi approcci analitici sia per tentare di interferire con certi errori di impostazione, sia per allargare lo sguardo e segnalare il pericolo di infognarci ancora di più nelle contraddizioni che non riusciamo a rimuovere perché privi di un pensiero adeguato. Cioè prigionieri delle leggi sbagliate fatte fino ad ora.

Nel mio pamphlet (appena un centinaio di pagine) al quale ovviamente rimando, sono descritte e documentate tutti i dubbi, tutte le perplessità, tutte le paure e tutte le questioni di merito più importanti, e anche tutti i rischi che anche la commissione, appena istituita, rischia di correre e ovviamente le proposte che a mio giudizio sono più adatte ed adeguate alla soluzione della questione complesse che si devono affrontare.

L’equilibrio perduto

Nello spazio di questo articolo mi limiterò ad affrontare due questioni in particolare, che mi preoccupano molto rispetto alle quali vedo sia grandi rischi per la professione medica sia grandi rischi per i cittadini

La prima è l’errore che rischia di commettere la commissione appena istituita, di ridurre un conflitto sociale vero e proprio come è quello tra medici e cittadini ad una semplice lite giudiziaria.

La seconda è la miopia dei medici che indisponibili al cambiamento per pararsi le terga dai rischi professionali sono disposti a tutto anche a rompere il rapporto fiduciario con la società che fino ad ora li ha legittimati con l’eventualità di essere, come professioni intellettuali, socialmente declassati (downgrade) .

L’obiettivo dichiarato dalla commissione è ritrovare l’equilibrio perduto tra gli interessi dei medici e gli interessi dei cittadini, anche se, l’equilibrio vero da trovare, in realtà, è tra “interessi e diritti” e la logica da usare non è quella che immagina la commissione, cioè “la compatibilità” ma quella ben diversa della “compossibilità”.

Con la prima si tratta di adattare i diritti dei malati ai problemi legali dei medici con la seconda si tratta di rimuovere le contraddizioni che contrappongono gli uni agli altri e quindi di trovare equilibri più avanzati cioè non contraddittori.

Il medico imperseguibile

Ma da quel che si vede, quindi dalle anticipazioni della commissione, dalla discussione in corso, dalle audizioni fatte sembrerebbe che l’unico, nel conflitto sociale dato, che dovrebbe cambiare è il cittadino che niente meno dovrebbe rinunciare o limitare i suoi diritti o pagare le spese dei processi o dover dimostrare la sua buona fede (lite temeraria) , per permettere al medico di restare quello che è sempre stato, anzi, per permettergli addirittura di essere giuridicamente depenalizzato per essere giuridicamente infallibile evitando così di essere legalmente perseguibile.

Se l’equilibrio, al quale punta la commissione , è come mi sembra di capire assicurato a medico invariante ma “imperseguibile”, (nessuno parla di ridefinire giuridicamente il medico) proprio come erano i funzionari ai tempi di Napoleone,  dubito che questo equilibrio possa essere credibile . Rendere il medico “imperseguibile” e, al contrario, il cittadino “perseguibile” vale come scoraggiare il cittadino in tutti i modi a intraprendere cause legali. Cioè azzerare di fatto i suoi diritti.

Nella teoria dei giochi si definisce “equilibrio di Nash” un profilo di strategie rispetto al quale nessun giocatore ha interesse ad essere l’unico a cambiare. Secondo Nash il matematico statunitense a cui si deve l’omonima teoria, a volere il cambiamento bisognerebbe essere almeno in due ma se uno dei due è a priori imperseguibile e l’altro no ma di quale equilibrio stiamo parlando?

Il conflitto sociale non è riducibile alla lite giudiziaria

Vi è conflitto sociale quando i malati, in ragione dei loro diritti, avanzano delle pretese nei confronti dei medici, e chiedono prassi diverse, approcci diversi, relazioni dialogiche per partecipare alle scelte che li riguardano e i medici, dal canto loro, restano fermi nel loro status professionale, senza fare nessun sforzo per rispondere ai nuovi bisogni delle persone, e cercano, come possono, di difendersi dai malati come se questi fossero i loro nemici dichiarandosi senza colpa, senza responsabilità e rifugiandosi in un paternalismo legale ormai di altri tempi nel tentativo di riproporsi comunque come i benefattori che non sono più.

Sbaglierebbe la commissione se riducesse il conflitto sociale, cioè una “quasi” guerra civile, a una lite giudiziaria alla ricerca di una transazione come se tra i medici e i cittadini, vi fossero solo banali interessi contrapposti.

Fino a quando i medici, per primi, non capiranno che il conflitto sociale nel quale sono coinvolti non è riducibile a una lite giudiziaria la questione per me resterà aperta.

Questo conflitto sociale definisce i contrasti con i cittadini prima di tutto non, come probabilmente pensa la Commissione D’Ippolito, riguardo solo a valori materiali, ma riguardo soprattutto a valori immateriali come i diritti, lo status sociale, l’autodeterminazione, la vita, la sua quantità e la sua qualità, la libertà, la giustizia.

Il diritto di non essere più un paziente

Oggi, anche se i medici continuano a non capire, la posta in gioco per i malati e per i cittadini è alta, molto alta e riguarda i loro diritti costituzionali, il loro status di malati, la loro emancipazione da un’idea vecchia e superata di paziente riguarda la loro auto-determinazione e quindi il loro modo di essere cittadini. Tutto questo non è facilmente monetizzabile.

I medici ancora non hanno capito che oggi i loro “pazienti” hanno il diritto di non essere più “pazienti”, per cui non vogliono più fare i pazienti, non vogliono più essere trattati e riparati come delle motociclette rotte, non vogliono più dipendere dai meccanici come se fossero i loro benefattori, ma in ragione dei loro diritti vogliono essere i protagonisti delle cure che li riguardano perché curarsi e autodeterminarsi praticamente à la stessa cosa. Il “prendersi cura” significa che non è più il medico che cura il cittadino ma è il cittadino che si prende cura di se stesso utilizzando strumentalmente il medico e la medicina di cui ha bisogno. Cioè la scienza che gli è utile.

Questa è la vera ragione per la quale in questa società abbiamo conflitti sociali e non solo liti giudiziarie e che tanto i medici che i giuristi ancora, dopo mezzo secolo di contenzioso legale, e di leggi farlocche per proteggere i medici non hanno capito e non vogliono capire.

La colpa e l’indennizzo

Costoro credono che, il conflitto sociale, sia indennizzabile cioè riducibile a una transazione economica, esattamente come sostiene la teoria “no fault”, come pure la teoria della depenalizzazione proposta dalla Fnomceo quella che ci dice che la depenalizzazione non è impunità perché la colpa del medico è comunque pagata con l’indennizzo, come se i diritti del cittadino fossero monetizzabili.

Secondo me, ancora non si è capito che, il conflitto sociale tra medici e cittadini oggi più che mai ha la funzione importante di affermare i diritti delle persone ed ha comunque un ruolo centrale nell’ambito del mutamento sociale, cioè ha un peso rilevante nei confronti di tutta l’organizzazione sociale e nei confronti della nostra convivenza sociale. Per cui non è facilmente eliminabile. Ma insisto, soprattutto non può essere ridotto ad una lite giudiziaria.

Oggi i tribunali sono diventati, loro malgrado, estensioni degli ospedali, degli ambulatori, dei pronto soccorso, nei quali i cittadini recuperano gli effetti di una medicina che continua a curare le malattie ma che si dimostra terribilmente incapace di avere relazioni con le persone. Oggi sembra incredibile, ma i tribunali offrono ai malati le relazioni che i medici non sono capaci di offrire perché continuano ad essere formati sulla malattia e non sul malato. E come diremo tra un po’, citando Rousseau, continuano a operare nella logica del diritto naturale perché incapaci di adeguarsi alla logica del diritto politico. È un paradosso enorme, che ai medici non farà piacere ma è così e non certo solo per colpa loro. Penso alle università che di fatto sono ancora ferme proprio a prima di Rousseau. Oggi molti cittadini, per avere relazioni con i medici, per avere delle spiegazioni esaurienti, è come se fossero costretti ad andare in tribunale. Abbiamo dimostrato che basta avere una buona relazione con il malato per ridurre il contenzioso legale ma nessuno, compresa la commissione D’Ippolito parla dell’importanza strategica della relazione e di come prevenire il contenzioso legale e di come formare il medico all’uso della dialogica e della intersoggettività .

La negazione del contratto sociale

Fino ad ora la regola che ha definito la responsabilità del medico era chiara e semplice : per un medico bastava avere un “contatto” con il malato, quindi una semplice relazione, quella da me chiamata “giustapposizione” per contrarre degli obblighi contrattuali. Il che vuol dire che, fino ad ora, gli obblighi del medico e quindi anche le sue responsabilità professionali sono nate da un contratto sociale.

Sono anni che i medici per evitare di andare in tribunale tentano di disattivare le loro responsabilità contrattuali cioè tentano di uscire e di liberarsi dal contratto sociale. Quella che i giuristi e i medici legali chiamano la “responsabilità extracontrattuale”.

Se si ripercorre la discussione sulla natura giuridica della responsabilità medica – dalla Balduzzi del 2012, passando per la Gelli Bianco del 2017 è come vedere una parabola discendente nella quale i medici, a un certo punto, cominciano per via legale a fare di tutto per uscire dagli obblighi giuridici loro imposti dal contratto sociale.

La recente proposta sulla depenalizzazione dell’atto medico che la Fnomceo ha avanzato in audizione alla commissione D’Ippolito è un modo per uscire dal contratto sociale

Da mascalzoni a santi

Detto in altri termini i medici, o meglio la Fnomceo, per non andare in tribunale, tenta di recidere, alla radice, la fonte dei suoi obblighi professionali, e delle sue responsabilità sociali, cioè di cancellare il contratto sociale.

Secondo la regola transitiva, se quello che fa il medico è senza colpa allora è come se il medico non avesse più alcun obbligo di nessun tipo.

Depenalizzato il medico viene di fatto parificato al pontefice cioè il dogma dell’infallibilità dalla chiesa passerebbe alla medicina.

La commissione D’Ippolito, da quello che si è capito sino ad ora, sembrerebbe voler continuare sulla strada della “de-contrattualizzazione” perché è un modo per depenalizzare il medico limitando la responsabilità solo alla colpa grave , una strada che se immaginata a regime, comporterà inevitabilmente in un non lontano futuro la rottura del “contatto sociale”, tra medici e società cioè la sostituzione di una relazione medico/malato con una banale giustapposizione tra interessi diversi, quindi la sostituzione del “contratto sociale” con un banalissimo “contratto di opera” corredato da un nomenclatore di prestazioni.

Personalmente credo che, uscire dal contratto sociale si corra il rischio di rompere una storica relazione fiduciaria con il cittadino perdendo di fatto, come professione, la più potente fonte della propria legittimazione sociale.

Il problema, a parte rompere, è come e con cosa sostituisco ciò che rompo.

Fino ad ora i medici sono stati legittimati, in questa società attraverso la fiducia, ma se non ci sarà più la fiducia per i medici l’unico modo che resta ai medici sono le assicurazioni, i contratti di opera e i nomenclatori e i tariffari.

Oltre la fiducia

Rompere il contratto sociale ci ricorda la storiella che racconta del marito tradito che per far dispetto alla moglie decide di evirarsi .

Se i medici uscissero di fatto dal contratto sociale cambierebbe inevitabilmente il modo in cui i medici sino ad ora sono stati legittimati. Se le assicurazioni prenderanno il posto del contratto sociale i medici non sarebbero più i medici che sono sempre stati e sarebbero inevitabilmente equiparati a qualifiche tecniche quindi ai meccanici agli idraulici, agli elettricisti, cioè a professioni tecniche rispettabili ma che non hanno nulla di speciale. Quindi infallibile come il papa ma declassabile socialmente come un meccanico o un idraulico.

Se ciò accadesse, la frittata sarebbe fatta. Se non c’è contratto sociale, non c’è relazione; se non c’è relazione, il medico è solo un meccanico che aggiusta corpi naturali malati. Fuori da un contratto sociale, il medico non è più il medico che abbiamo avuto sino ad ora. Diventerebbe un’altra cosa. Se il meccanico deve aggiustare la moto per lui non è necessario avere una relazione con il proprietario della moto. Ma senza questa relazione egli resta solo un meccanico. Ma nulla di più.

Il lato oscuro dei diritti

Con le vicende legate alla responsabilità professionale quindi con la commissione D’Ippolito è emersa quella che potrei definire richiamandomi ad una letteratura precisa “il lato oscuro dei diritti” cioè il difficilissimo rapporto tra gli interessi di una professione e i diritti delle persone e dei cittadini. Ragionare sui diritti dei cittadini e dei malati oggi significa ragionare su uno spazio giuridico che proprio questa letteratura ha definito “in sofferenza”. Una sofferenza legata indissolubilmente alla loro importanza costituzionale ma anche agli enormi problemi che essi creano e in particolare alla professione medica. Più aumentano i diritti dei cittadini e più si complica la vita ai medici e il mestiere della medicina diventa super complesso. Cioè sempre più impareggiabile. Il lato oscuro dei diritti è proprio questo ed è quel lato che prima ricordando i funzionari al tempo di Napoleone abbiamo indicato con il termine “imperseguibilità” rischio verso il quale la commissione D’Ippolito dovrebbe prestare la massima attenzione. Che equilibrio è il suo se a pagare il prezzo più alto nel conflitto sociale sono i diritti dei cittadini?

Droits naturels e droits politique

La contraddizione nella quale oggi sono i medici, viene da lontano e esattamente viene molto tempo prima dell’art 32 della Costituzione e sorge per essere precisi nel momento in cui Rousseau nel 1762 sostituì il termine droits naturels con droits politique .

Un passaggio che ancora oggi i medici ma anche le facoltà di medicina non hanno ne digerito e ne capito. I medici sono ancora culturalmente fermi alla malattia quindi al “droit naturels” . Per arrivare al “droits politique” essi più che mai oggi dovrebbero fare ciò che non vogliono fare come dimostra la Fnomceo che dopo essersi impegnata nel 2018 pubblicamente a ridefinire giuridicamente il medico per non avere rogne al suo interno, ha rinunciato all’impresa e al grido “invarianza e imperseguibilità” per fare tutti contenti ha imboccato a testa bassa la pericolosa strada del corporativismo più miope .

La commissione D’Ippolito da quel che si capisce si dimostra sensibile alle esigenze corporative della Fnomceo e dice di voler cercare l’equilibrio, ma ripeto a medico “invariante e imperseguibile” .

Il lato oscuro della faccenda è tutta qui.

Server

Quella medica è una professione che per la sua indubbia miopia se non ablepsia politica è destinata per forza al declino proprio come un sole al tramonto.
Giocare con la regressività oggi come ci hanno spiegato tanto Lakatos che Feyerabend è pericoloso. Il rischio per i medici di essere spiazzati come professione in una società in costante cambiamento è molto forte. Una volta spiazzati come paradigma professionale in questa società si conta intanto molto di meno e siccome siamo in una società capitalistica si vale anche molto meno. Se regressivi si è inevitabilmente declassati e sostituiti da altro perfino dai robot e dalle app sui telefonini. Si è giuridicamente infallibili e imperseguibili ma socialmente si conta poco e quindi si vale poco.
La professione medica a dire il vero, nel giro di un secolo circa, è passata, suo malgrado dal bel tempo andato della professione liberale, quella del benefattore puro, praticamente quasi un santo, a quella che ormai prova a salvarsi le terga come può scappando dagli obblighi del contratto sociale, tanto caro a Rousseau accettando di consegnarsi mani e piedi al mondo delle assicurazioni, sottomettendosi al procedurarismo come scudo sociale e che senza rendersene conto sta spianando la strada al “medico server “di cui parlo nel mio pamphlet .
Dopo che la Fnomceo liquidando la questione medica ha rinunciato ad una strategia di riforma della professione, il futuro del medico se le cose andranno avanti, sarà probabilmente quello del server cioè di un operatore sempre più entro sistemi tecnologizzati che non essendo riuscito a rimodellarsi socialmente nella società che cambia rinforzando i suoi legami fiduciari sarà radicalmente rimodellato da due cose :
• quella che gli esperti di futurologia chiamano la “quarta rivoluzione industriale” (4RI) una rivoluzione che è già in atto da anni
• dalle coperture assicurative che ai medici costeranno un occhio della testa quindi da precisi contratti di opera che prescriveranno al medico cosa deve fare e cosa non deve fare togliendogli quel poco di autonomia intellettuale che gli è rimasta

Un ex dio
Il futuro del medico mutatis mutandis per come lo vedo io è quello di un ex dio che diventa suo malgrado poco più di un meccanico specializzato. Come può un ex dio, pensare di poter continuare ad essere un dio senza esserlo più e per giunta da un bel pezzo?
Perché è, questo “ex”, (prefisso e sostantivo), il problema dei medici oggi .
La grande responsabilità politica della Fnomceo ma anche di tutto il sindacalismo medico e di tutte le società scientifiche è che siccome per tante ragioni ripetutamente descritte altrove e perfino oggetto di ben due manifesti (qui e qui) chi rappresenta i medici ha capito di essere incapace di definire un altro “medico più medico”, si è di fatto rassegnato ob torto collo a gestire l’ex medico cioè a negoziarne il declino.
Oggi i medici senza una idea di professione più avanzata più moderna di fatto stanno negoziando le condizioni per la loro resa.

Un futuro senza futuro
In tutto il panorama politico non c’è una sola proposta in campo in grado di rilanciare veramente questa professione. Tutto, per ragioni prima di tutto culturali, è drammaticamente al ribasso
Ex come ho già scritto a proposito di antiriformatori è di fatto un conservatore perché indica la condizione di chi ha cessato di essere quello che è sempre stato ma non lo sa o non se ne accorto o rifiuta di accettare l’evidenza del cambiamento, ma che in barba a tutto continua ostinatamente a credere di non essere per niente un ex.
Questo oggi è il medico un ex che non sa di essere ex che continua a credersi un intellettuale senza esserlo più. Un ex che è diventato un tecnico ma che della tecnè di Ippocrate non ha più niente a che vedere, perché la tecnica ormai è al servizio di algoritmi prescrittivi indiscutibili, delle assicurazioni e dei contrati d’opera e come vedremo dei costi standard.
Oggi il medico è uno che si difende dai suoi malati dietro gli scudi legali o assicurativi ma nulla di più.

Difendersi le terga è un diritto ma quale diritto è quello che distrugge la professione?
Sono anni ormai che il medico, l’ex dio, chiede alla politica di risolvergli i suoi problemi legali e siccome non vuole cambiare proprio perché nonostante tutto continua a considerarsi un dio oggi tenta di cavalcare la nuova onda neocorporativa del governo quindi chiedendo alla commissione D’Ippolito di rimettere le cose a posto come erano quando non era ex.
Cioè chiede alla politica di contenere i diritti dei cittadini, di renderlo imperseguibile senza rendersi conto di cadere dalla padella alla brace cioè di finire in pasto alle assicurazioni e al loro implacabile proceduralismo senza rendersi conto di mettersi contro il cittadino contro Rousseau contro il contratto sociale cioè contro chi lo può aiutare.
Per chi come me crede che la medicina sia una “scienza impareggiabile” è insensato compromettere il rapporto fiduciario con i cittadini al solo fine di proteggersi legalmente le terga.

Io mi sono sbagliato ma voi …
La “questione medica” che la Fnomceo ha fatto propria nel 2018 e dopo per ragioni interne ha rinnegato, è nata nel 2015 perché la crisi del medico era innegabile e si sperava che il medico davanti al cambiamento cioè soprattutto per salvare la propria professione e il proprio futuro non si tirasse indietro. Anche le 100 tesi scritte per conto della Fnomceo nel 2019 per organizzare gli stati generali della professione e ridefinire il suo profilo giuridico sono state rinnegate. La stessa fine ha fatto la proposta elaborata dall’ordine dei medici di Trento sulla riforma della deontologia del tutto ignorata dalle kermesse fatte anche recentemente sulla deontologia.
Evidentemente mi sono sbagliato. Evidentemente ho fatto i conti senza l’oste. I medici ormai per ragioni anche comprensibili appaiono rassegnati ad essere sempre più ex medici. Il che mi fa dire che se io mi sono sbagliato allora va detto senza peli sulla lingua che chi rappresenta i medici sta portando la professione verso il downgrade. Che si svaluti socialmente la professione per salvarla dal contenzioso legale non mi pare che sia un gran risultato.

Anche il nemico ha dei diritti

Mi dispiace che il primo che pagherà il prezzo di questa follia giuridica sarà proprio il cittadino e la credibilità della medicina alla quale tengo più di ogni cosa perché davvero essa è un bene pubblico come l’acqua. Mi dispiace davvero molto
Se poi penso che comunque anche se si diventa un ex medico i diritti dei malati restano per cui essi in qualche modo dovranno essere riconosciuti dal momento che oggi come ha scritto Gunter Jakobs perfino i nemici hanno diritti, mi chiedo ma come farà l’ex dio a considerare il proprio malato solo come il titolare dei propri interessi e per giunta riducendo i diritti oggi solo a diritti naturali ? O a interessi? O a prestazioni? O come propone il governo con la sua proposta di regionalismo differenziato a costi standard?
Se per Jakobs, il nemico per definizione, è una non-persona ‘giuridica’ come farà il medico a considerare il malato una non persona cioè solo un interesse o peggio una prestazione descritta nel tariffario delle prestazioni o nel nomenclatore di prestazioni delle assicurazioni? Cioè costi standard. Ma vi immaginate cosa voglia dire per i medici essere standardizzati come propone il governo e le assicurazioni?

Apologia del coraggio
Rassegnarsi a fare la fine degli ex medici non sarà solo un drammatico svantaggio per i cittadini ma sarà la condanna di una professione che principalmente a causa dei propri errori rischia di perdere la sua dignità il suo onore e il suo prestigio.
I medici loro malgrado hanno dovuto fronteggiare un grande cambiamento storico sociale e culturale che come ho cercato di mostrare viene da lontano, e rispetto al quale fino ad ora non hanno dato il meglio ma il peggio e che oggi ha suggerito al governo di istituire la commissione D’Ippolito.
Se ho scritto “Medici vs cittadini. Un conflitto da risolvere” è perché sono molto preoccupato della piega che sta prendendo la discussione e perché non intendo rassegnarmi a quello che nel mio libro precedente riferendomi alla situazione grave in cui versa la sanità pubblica nel sottotitolo ho chiamato “il cinismo delle incapacità”.
“Il successo” ha detto Churchill “non è mai definitivo, il fallimento non è mai fatale; è il coraggio di continuare che conta.”
Il punto quindi è il coraggio, al quale considerando la posta in gioco per quanto mi riguarda non mi pare sia il caso di rinunciare.

L’autore: Ivan Cavicchi è filosofo della medicina, sociologo e antropologo, insegna presso la facoltà di Medicina dell’Università Tor Vergata di Roma