Per quanto gli elettori e i dirigenti di Sinistra italiana più Verdi, i Progressisti di Massimo Zedda e Sinistra futura abbiano ragioni per considerare con soddisfazione il loro risultato in Sardegna – avendo totalizzato insieme il 10,6% dei voti – e guardare così avanti con fiducia, le dichiarazioni e le considerazioni che vengono fatte sulla vittoria di Alessandra Todde non paiono riconoscerne l’importanza e, anzi, vanno tutte in altra direzione. Lo sguardo sembra essere tutto rivolto ai “moderati” – e ai loro sedicenti leader – che dovrebbero riconsiderare le loro posizioni per rendere il famoso “campo” finalmente “largo”, larghissimo, e marciare così uniti – si fa per dire – alla riconquista di altre Regioni come Abruzzo e Basilicata e poi del governo del Paese.
Una serie di considerazioni, però, vale la pena fare sulle reazioni pavloviane di opinionisti e politici, perché segnano il ruolo che certa sinistra pare destinato a giocare nel futuro prossimo, quello ancillare di serbatoio di voti utile a coprirsi a sinistra e consentire il successo, salvo poi essere un partner di bandiera, per la riaffermazione di principi, e non incidere sulle scelte di fondo, che restano sempre orientate a soddisfare la domanda di quei “moderati” di tutte le schiere che determinano il corso di lungo periodo delle politiche.
Molti commenti di questi giorni lasciano emergere questa visione e mostrano quanto l’affermazione e il ruolo delle sinistre in appoggio a Pd e 5 Stelle alleati passino quasi inosservati perché, alla fine, considerato di facile gestione, che non sposterà più di tanto la barra di marcia. Pendiamone due come esempio, usciti su un giornale tutto sommato autonomo, ben più di altri supini “convergenti”.
Piero Ignazi, sul Domani del 29 febbraio, tesse le lodi dei 5 Stelle, lamentando come non fossero stati compresi, prima di tutto dal Pd, come fossero la formazione politica con il massimo numero di laureati tra gli eletti – e, quindi, come non debba sorprendere che siano stati loro a proporre una candidata con il profilo della Todde – e come la deriva «antipolitica e populista» sia accaduta solo perché il Pd (di Bersani) «non li seppe prendere per mano», dimenticando lo sbeffeggiamento di cui quelli fecero oggetto stesso Bersani, all’insegna del «partito di Bibbiano» e di altre amenità simili. Non solo, tralasciando di ricordare che delle cinque stelle che stanno nel loro simbolo una volta al governo si sono bellamente dimenticati (Cingolani ministro dell’ambiente, tanto per dirne una), che con la Lega sono stati capaci di proporre i provvedimenti più ignominiosi (prima del governo attuale) e che la loro vocazione “egalitaria” è riuscita a portare a casa il reddito di cittadinanza e null’altro, provvedendo a snaturare quel Parlamento che andava «rivoltato come una scatoletta» con il taglio del numero di seggi con una legge elettorale iniqua che lasciava la scelta dei candidati in mano alle segreterie dei partiti. Insomma, un curriculum da partito di governo non propriamente left-wing, raccolto ora dall’ex avvocato del popolo che non fa che distinguersi pur di non finire dentro quel perimetro “progressista” in cui, forse, il suo elettorato originario lo voleva comunque, senza per questo affidarlo a un trentenne venditore di gassose di buone speranze. Se con questi si possa andare nella direzione giusta – che giustifica l’appoggio delle sinistre – resta però da dimostrare (e qui, davvero, non ci si può che affidare alla Todde, in Sardegna).
Gianni Cuperlo, sempre sul Domani, è ancora più deludente. Il focus è tutto sulla relazione Conte-Calenda, richiamando nostalgicamente il «profumo d’Ulivo». Le sinistre, nell’orizzonte di Cuperlo, non ci sono. Lodiamo pure la “pazienza” di Elly Schlein, sapendo però che gli elettori, non il partito, sono con lei. Certo, alla fine è quello che conta, ma due domande elettori e militanti delle sinistre se la devono porre. La prima è, naturalmente, cosa ci stiamo a fare? Esigiamo ascolto, vogliamo contare, sulle scelte strategiche, diranno i loro dirigenti. La seconda è, ovviamente: perché siamo divisi, in Sardegna come nel resto del Paese? Perché qui si parla del futuro dell’Italia. Ci sono ragioni così serie per restare divisi?
L’operazione che abbiamo visto svilupparsi in Emilia-Romagna rischia di diventare emblematica e ciò che è appena successo in Sardegna sembra ricalcare quello schema, che peraltro si va delineando anche per Abruzzo e Basilicata e poi, chissà, lo sarà magari alle prossime regionali in Emilia-Romagna tra meno di un anno. Il centro-sinistra (o “campo largo” che dir si voglia) vince grazie alla sinistra – in Emilia-Romagna fu la lista Coraggiosa della Schlein a portare in dote il bottino, con la spinta finale delle “sardine” – ma poi si perseguono le stesse politiche, nel segno del produttivismo, del consumo di suolo, dello sfregio anti-ambientale, del dirigismo che ha fatto saltare ogni intermediazione (adesso pure abolendo le primarie). A Bologna, il Pd di Lepore cooptò il gruppo che alla sinistra del Pd aveva fatto opposizione nel sociale, che ora difende scelte come il raddoppio della cintura autostradale, le dissennate decimazioni del patrimonio arboreo e la gentrificazione (e, tuttavia, formula le “mappe di genere”!), incapace di una pur timida critica.
La domanda, naturalmente, è: conviene alle sinistre avere un ruolo ancillare, per reggere la candela mentre il Pd armeggia nella stanza dei bottoni, piuttosto che non raccogliere il disagio profondo che attraversa la società? Anche in Sardegna, come ormai accade ovunque, è andata a votare solo la metà degli aventi diritto, gli esclusi avendo ormai perso ogni fiducia di trovare chi li rappresenti. Il futuro del Paese resta in mano a Conte e al partito di Schlein, con l’appoggio innocuo delle sinistre consenzienti, che in tale modo, tuttavia, non sposteranno di un epsilon lo smembramento sociale in atto nell’indifferenza degli eletti.
Ora verranno le elezioni europee in cui, vivaddio, ognuno si misurerà con il suo elettorato. Peccato che sono elezioni percepite da molti come “inutili”, proprio ora che in Europa ci sarebbe bisogno di una voce ben diversa, nel nome della non belligeranza, della coesistenza, della transizione ecologica (e non più armi e meno green). Saprà la sinistra ancillare rispondere a questo appello? Qualcuno si muove, fuori da quei confini, e c’è solo da sperare che abbia più successo delle ancelle degli atlantisti di ritorno.
La sinistra ancillare e il futuro del Paese
Bene la vittoria di Todde ma la domanda al fondo è: conviene alle sinistre avere un ruolo subordinato di supporto, per reggere la candela mentre il Pd e m5s armeggiano nella stanza dei bottoni, piuttosto che non raccogliere il disagio profondo che attraversa la società?