In occasione della Giornata della memoria 2025 torna nelle sale fino al 29 gennaio il film La zona d’interesse di Jonathan Glazer. Qui la recensione di Giusi De Santis pubblicata per l’uscita del film.
Vincitore del premio Oscar per il miglior film internazionale e per il miglior sonoro – dopo il gran premio speciale della giuria al Festival di Cannes e numerosi altri premi, tra i quali tre Bafta (miglior film britannico, miglior film in lingua non inglese, miglior sonoro) – La zona d’interesse è un’opera potente e imprescindibile che, già nel primo weekend di proiezioni nelle sale italiane, aveva ricevuto un importante riscontro da parte del pubblico, conquistando il secondo posto al box office.
Liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Martin Amis, La zona d’interesse (Einaudi) è la storia di una famiglia tedesca apparentemente normale che vive una quotidianità cadenzata e priva di particolari slanci. Ma la loro casa, immersa in uno scenario bucolico e lussureggiante alla periferia di Oświęcim, in Polonia, è collocata al confine con il campo di concentramento di Auschwitz, di cui Rudolf Höss (Christian Friedel) è il comandante. La luminosa serenità che sembra pervadere gli spazi è, in realtà, un agghiacciante contraltare di quanto accade dall’altra parte del muro, a pochi passi dall’artefatto e idilliaco ritratto familiare.

L’efficienza del comandante nazista e dei suoi collaboratori, nel progettare e nel rendere più agevole e veloce l’operazione di sterminio degli ebrei deportati nei campi di concentramento, attraverso un complesso sistema di forni crematori ad anello, denota una totale e inquietante perdita di affetti. Nulla di umano trapela dalle loro parole, incapaci come sono di cogliere nell’altro l’umanità perduta: la loro impossibilità a ‘vedere’ reifica gli esseri umani, che divengono oggetti, carico da trasportare, pezzi da eliminare.
In questa straniante e ipnotica realtà – nella quale punire gli ufficiali delle SS che, cogliendo fiori di lillà da un cespuglio minano il decoro del campo, diviene una questione di primaria importanza -, colpisce l’irrequietezza del cane nero che si aggira per casa e che, percependo istintivamente il pericolo, sembra richiamare costantemente l’attenzione delle persone intorno: forse qualcuno al di là del muro ha bisogno di aiuto, di essere salvato.
L’area di quaranta chilometri quadrati immediatamente circostante il campo di concentramento di Auschwitz, chiamata ‘zona d’interesse’ (Interessengebiet in tedesco), nasconde, dietro l’apparente e distopica consuetudine, orrori e insidie, ben rappresentati dagli interni labirintici della casa – dove le porte delle stanze vengono metodicamente chiuse, come le luci spente, prima di andare a dormire – e dai suoi lunghi sotterranei.
Protagonista indiscusso del film è il fuoricampo, di cui viene continuamente evocata, attraverso lo straordinario utilizzo delle composizioni sonore a
Liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Martin Amis, l’ultimo film di Jonathan Glazer è
Liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Martin Amis, l’ultimo film di Jonathan Glazer è a cura di Mica Levi con Tarn Willers e Johnnie Burn, la connotazione orrorifica.

Mediante un linguaggio assolutamente innovativo, una originale grammatica filmica, Jonathan Glazer esibisce una modalità di rappresentazione che sembra delegare allo spettatore le risposte agli incalzanti interrogativi disseminati nella messinscena. Già nel precedente film, il distopico Under the Skin (2013) – tratto dall’omonimo romanzo di Michel Faber – Glazer mostra un’attenzione alla sperimentazione visiva e, al contempo, ai contenuti, sapientemente seminati nel sotto testo del racconto e nella composizione stessa delle immagini. Un’inedita rappresentazione dell’anaffettività.
È attraverso un’ellissi temporale che Glazer mostra, nel finale de La zona d’interesse, i luoghi di Auschwitz, divenuti nel frattempo un museo, dove, addetti alle pulizie sono intenti a lucidare vetrine contenenti scarpe e oggetti appartenuti ai deportati. Di nuovo, una rituale normalità.
Un’opera necessaria, assolutamente da vedere. Un film che il premio Oscar Alfonso Cuarón ha definito ‘il film del secolo’.




