Recentemente Flc-Cgil, Usb Scuola, Cobas, e altre associazioni, hanno avanzato un “reclamo” al Garante della Privacy, per il pericolo, gravissimo, che i risultati dei test Invalsi, obbligatori e da allegare al curriculum dello studente, (secondo il Dl 19 del 2 marzo ndr) anche insieme con il diploma di maturità, possano essere resi noti o comunque noti ad alcuni (scuole, ministeri, e altri). Il problema è serio. I test Invalsi sono nati per dare indicazioni “nazionali”, non sono e non devono essere test per valutare i singoli studenti. Lo studente, inoltre, non ha nessuna difesa: non sa perché è stato giudicato in un certo modo (in maniera “automatica”, peraltro); non può sapere se/dove/cosa ha sbagliato; non potrà mai (così sembra) cancellarsi di dosso un eventuale bollino di insufficienza o di “fragilità”, come si chiama.
Ancora. Ci sono studenti, in genere al Sud, con voti di maturità alti o molto alti, a fronte di generalizzati insufficienti risultati nelle prove Invalsi. Qualcuno “ha stabilito” che i voti più veritieri siano quelli ottenuti alle prove Invalsi. Chissà perché? Non c’è motivazione alcuna. Senza neanche un dubbio, una riflessione, in genere si stabilisce, in sequenza: i test Invalsi misurano bene la qualità degli studenti; gli studenti del Sud non possono che essere meno bravi di quelli del Nord; gli insegnanti del Sud premiano incapaci (familismo amorale); è una ingiustizia. Autorevoli esperti (Bianchi, Latempa, Viesti) si spendono contro questa narrazione. Qualcuno si è chiesto: non potrebbero essere davvero bravi gli studenti del Sud? Io, in aggiunta, mi chiedo: un voto più “basso” perché dovrebbe essere garanzia di maggiore “severità” e addirittura di maggiore “qualità” complessiva?
Un ex-presidente Invalsi, l’autorevole pedagogista Benedetto Vertecchi, sostiene che la valutazione di uno studente è tanto altro, non certo il saper rispondere a quiz, solo su tre “materie”, per giunta. Eppure, puntuale, la levata di scudi di soliti moralizzatori, Fondazione Agnelli, politici e amministratori di tutte le regioni del Nord, che chiedono “giustizia” per i “loro” studenti, che verrebbero così danneggiati in concorsi, premi, scelte di università, e altro. La tesi, sinteticamente, è che se gli studenti del Sud hanno voti più alti nella maturità, e quelli del Nord ottengono risultati migliori nelle prove Invalsi, le valutazioni degli esami di Stato non sono veritiere poiché poco attendibili al confronto con l’affidabilità di prove standardizzate, uguali in tutta Italia. Io però mi chiedo: perché il presunto differenziale negativo di preparazione non viene utilizzato, come dovrebbe essere, per sostenere la necessità di politiche scolastiche perequative, che significherebbe più attenzione e più risorse al Sud?
Al contrario, adesso ci si muove in direzione opposta a quella ragionevole ed intelligente di far “avanzare” chi eventualmente è più indietro. Con le oscene richieste di autonomia differenziata delle regioni “ricche” del Nord, per la Scuola in particolare si sta chiedendo in maniera «eversiva» che il gettito fiscale locale rimanga nelle disponibilità della Regione: chi più ha, avrà ancora di più, a svantaggio della perequazione nazionale prevista dalla Costituzione.
Nel Sud per rafforzare la fiducia degli studenti nei confronti dell’istituzione scolastica non è facile puntare su strutture attraenti come avviene in molte scuole del Nord. E per loro il contrasto alla dispersione scolastica è vitale, come tutte le lotte alle illegalità che si combattono quotidianamente al Sud. La scuola resta un baluardo di democrazia e di legalità, oltre che di conoscenza. Questo lo misurano i test Invalsi?
«I test standardizzati non possono misurare l’intraprendenza, la creatività, l’immaginazione, il pensiero concettuale, la curiosità, lo sforzo, l’ironia, il giudizio, l’impegno, o una serie di altre tendenze e attributi preziosi. Ciò che essi misurano e considerano sono abilità isolate, fatti e funzioni specifiche, cioè gli aspetti dell’apprendimento meno interessanti e meno significativi» (Ayers).
Alcune forze politiche si stanno muovendo, insieme con i sindacati, su questi temi. Credo che il Pd innanzitutto, ed i partiti e movimenti di sinistra, democratici, progressisti, i sindacati, debbano farsi coinvolgere, e non possano far mancare la propria voce, di netta condanna dei test Invalsi (è partita anche una petizione su Change ndr), e specialmente dell’uso (di “schedatura”, e/o di utilità per aziende private, o per il governo) che se ne vuole fare.
L’autore: Giuliano Laccetti è ordinario Università degli Studi di Napoli Federico II