Cornelia Hildebrandt è, insieme a Marga Ferré, la co-presidente di Transform! Europe. È componente della Fondazione Rosa-Luxemburg (RLS).
Ha partecipato il 23 marzo all’assemblea Per la pace promossa da Transform! Italia alla Casa Internazionale delle donne a Roma (qui il video). Le abbiamo rivolto alcune domande relative all’attuale e complessa situazione in Europa, con uno sguardo prettamente rivolto alle dinamiche interne alla sinistra.
Per la sua esperienza europea, ma anche dal punto di vista tedesco, cosa significa “lotta per la pace”?
Per Die Linke la lezione della Seconda guerra mondiale è il punto di partenza vincolante, per tutte le idee di politica per la pace. Non deve iniziare mai più una guerra dal suolo tedesco. Nel programma per le elezioni europee del partito questo significa concretamente la richiesta di fermare il riarmo e la militarizzazione della Ue, il rifiuto di una forza militare europea, dell’obbligo di riarmo per i Paesi Ue e delle missioni militari all’estero dell’esercito federale. La Ue dovrebbe, invece, aderire al trattato di non proliferazione per le armi nucleari, chiudere le basi militari statunitensi e sviluppare ulteriormente l’Ocse. Proponiamo anche un servizio civile per la pace, obbligatorio. Per la Linke, il problema fondamentale, soprattutto per quel che riguarda la guerra in Ucraina, trae origine dal fatto di non essere percepito come un partito per la pace con sue proprie iniziative e che nei media ha varie posizioni. Per esempio, per quel che riguarda la fornitura di armamenti, anche se tutti condannano decisamente l’attacco della Russia contro l’Ucraina. La sua credibilità di forza di pace è stata danneggiata dalla sua adesione non convinta alla sola grande manifestazione contro la guerra in Ucraina svoltasi nel febbraio del 2023 e dalle prese di posizione pubbliche a favore della fornitura di armi da parte di alcuni rappresentanti della Linke.
Come vede l’Unione europea oggi? Che cosa dovrebbe fare l’Ue e quali dovrebbero essere le sue priorità politiche? Inoltre, quale potrebbe essere, secondo lei, una proposta per realizzare una istituzione europea più democratica?
La Linke è un partito a favore dell’Europa ma anche critico verso la Ue. Di fronte alla militarizzazione della Ue, l’estensione della fortezza Europa con una politica migratoria militarizzata che di fatto cancella il diritto individuale all’asilo e una politica climatica che punta unicamente su tecnologie migliorative messe sempre più in discussione dallo spostamento verso destra, la sinistra europea deve puntare su un’alternativa giusta dal punto di vista sociale ed ecologico, pacifica e democratica. Bisognerà rinegoziare i trattati e puntare su un referendum in modo che i cittadini della Ue possano esprimersi in merito.
Cosa pensa delle numerose scissioni all’interno della sinistra?
Le scissioni della sinistra hanno cause varie. Da una parte le società sempre più frammentate che si rispecchiano nei panorami politici e dall’altra i conflitti inerenti alla sinistra stessa. I partiti europei di sinistra si assomigliano, quando si parla di problemi sociali. Ma hanno grosse differenze per quel che riguarda questioni socioculturali come il femminismo, i diritti LGBTQOA+, la politica migratoria e per i rifugiati. Hanno posizioni differenti per quel che riguarda il peso da dare al cambiamento climatico e addirittura opposte rispetto alla guerra in Ucraina e la Nato. Ma queste differenze non devono necessariamente portare ad una scissione, se si riesce a discuterne in modo che il Partito della Sinistra europea riesca ad approvare un programma elettorale comune. Per via delle posizioni di Sahra Wagenknecht sulle politiche migratorie, per la Linke, non era più possibile rimanere su una base comune: lei rifiuta le frontiere aperte e la migrazione irregolare, rifiuta ogni forma di sussidio per i richiedenti asilo a cui non è riconosciuto il diritto a restare e ha una posizione aperta verso destra. E già prima che formasse il suo partito “Alleanza Sahra Wagenknecht”, essendo la sua leader, insieme a Gregor Gysi quasi la sola personalità carismatica della Linke, avendo posizioni diverse su immigrazione e Russia ha fatto sì che la Linke venisse percepita come partito dilaniato.
E per quanto riguarda le sinistre degli altri Paesi?
Le scissioni della sinistra greca, francese e spagnola hanno ragioni diverse. Dei leader carismatici possono parlare a persone che sono al di là della solita cerchia elettorale e le possono entusiasmare e convincere. Ma allo stesso tempo, queste loro capacità di rivolgersi direttamente alle masse indebolisce la democrazia all’interno del partito che poi può essere facilmente aggirata, come nel caso di Syriza e del suo nuovo segretario. Questo significa che proprio quando il partito viene caratterizzato da una personalità carismatica sono proprio le regole democratiche a garantirne l’esistenza. Ma una simile personalità in Spagna non c’era più in Unidas Podemos ed è quasi invisibile in Sumar. In Francia, in Nupes era possibile solo sotto la guida di Mélenchon che non è riuscito a tenere unita la coalizione realizzata, quando la situazione è cambiata nel vasto schieramento di sinistra e sono
prevalse le divisioni. Chiedersi se una guida più collettiva della coalizione avrebbe portato al successo anche in presenza di un partito comunista francese più tradizionale è una domanda puramente ipotetica. Ma se le scissioni nazionali continuassero anche a livello europeo allora davvero si bloccherebbe lo sviluppo europeo – e questo di fronte ad uno spostamento radicalmente a destra a cui rischiamo di assistere dopo le elezioni europee 2024.
(Si ringrazia Esther Koppel per la traduzione)