Arriva in sala il film "Inshallah a boy", il toccante esordio di Amjad Al-Rasheed, che racconta: «Questa per me è una storia vera comune a molte donne, la storia vera di una donna come tante, una storia di liberazione che racconta tutti i livelli di oppressione che subiscono le nostre madri, sorelle e figlie»

Una società patriarcale, una famiglia in cui il ruolo subalterno della donna è portato agli estremi a causa dell’espressione normativa della sharia. Una storia come tante della zona popolare di Amman est, ma non estranea alle famiglie del centro ricco della capitale giordana. Inshallah A Boy film sbocciato a Cannes, alla Semaine de la critique, poi portato in giro per il mondo convincendo pubblici diversi è ora nelle sale italiane. Una grande conquista grazie al coraggio di Satin Film, distributori italiani che si sono imposti per cambiare la consuetudine di mercato che vede sempre più spesso film non mainstream, nonostante i riconoscimenti internazionali, tagliati fuori dal nostro circuito cinematografico.
L’opera prima di Amjad Al-Rasheed, proposta anche come candidata all’Oscar per la Giordania, è una vera sorpresa di talento, autenticità. Un film semplice. «Volevo raccontare tutti i risvolti di una legge inconcepibile e l’unica scelta era farlo con il linguaggio della realtà, senza il superfluo, perché la realtà era già tremendamente assurda. Dovevo trovare il tono della quotidianità per fare un film accessibile a tutto il pubblico e per trasmettere in tutta la sua verità la follia della legge islamica classica.

Inshallah a boy narra la storia di Nawal, una giovane sposa e madre di Amman che, rimasta improvvisamente vedova, si ritrova a combattere con la famiglia del defunto marito per l’eredità che le spetta e per proteggere la propria casa e il destino della sua bambina. Con poco tempo a disposizione per trovare una soluzione, Nawal deve fronteggiare non soltanto sfide personali ma anche quelle culturali radicate nel suo Paese, arrivando a superare le proprie paure, convinzioni e moralità per mettere in discussione una società dove, avere un figlio maschio, cambia le regole del gioco e sembra essere, per una donna, l’unica tutela.

Il tema dell’emancipazione femminile a partire dal concetto di proprietà, un diritto considerato dalle leggi della sharia di dominio esclusivamente maschile e che impedisce alle donne di avere diritti ereditari.
Suprema l’interpretazione di Mouna Hawa, giovane attrice palestinese, che in ogni pezzetto di immagine colpisce al cuore per la sua intensità. Le camminate incerte e poi sempre più sicure, gli acquisti al supermarket, i viaggi in autobus, i gesti delle vicine di casa, i momenti di cura al lavoro, le parole dette in famiglia, il rapporto tra madri e figli, la relazione tra sorelle e fratelli e tra maschi e femmine. Scrittura, luci, fotografia, i movimenti della macchina da presa e il lavoro fatto con gli attori, tutto all’insegna della semplicità in una progressiva tensione.
Il linguaggio del corpo dell’attrice e il suo modo di occupare lo spazio ha reso la sua partecipazione fondamentale per dare profondità espressiva al lungometraggio.
«Questo film parla di persone che vogliono lottare, non mi viene in mente nessun combattente più forte e più determinato dei palestinesi a Gaza, in questo momento», spiega il regista. «Questa per me è una storia vera comune a molte donne, la storia vera di una donna come tante, una storia di liberazione che racconta tutti i livelli di oppressione che subiscono le nostre madri, sorelle e figlie. Una mia parente stretta, è stata la fonte di ispirazione. Lei si è trovata in una situazione analoga. Aveva comprato la casa dove viveva con la sua famiglia, ma il marito per vergogna aveva preteso che l’atto di acquisto fosse firmato solo a suo nome. Quando è morto i parenti di lui hanno invocato la sharia che dava il diritto di entrare in possesso della casa. Ho poi scoperto che ci sono tantissimi casi analoghi in nome della tradizione. La bellezza del cinema è la capacità di raccontare e la possibilità che dà al pubblico di conoscere, riconoscersi, di indagare e di riflettere». Una finestra sul mondo. E questo è un contesto che ancora conosciamo troppo poco. Un tema però presente. Perché la modernizzazione dei sistemi giuridici in molti Paesi musulmani non ha toccato le disparità di genere previste dalla giurisprudenza classica. Musawah, per esempio, un movimento globale famosissimo e nato a favore dell’uguaglianza e della giustizia all’interno della famiglia musulmana si è occupato tantissimo di questi temi e dell’attivismo al fine di introdurre nuove prospettive negli insegnamenti islamici e contribuire in modo costruttivo alla riforma delle leggi e delle pratiche famigliari.
Ecco un frammento del film