Il film "La sala professori” è una incisiva rappresentazione di un microcosmo attraversato da dinamiche che trovano origine nel bagaglio millenario di false idee sui bambini e sui ragazzi
Candidato a moltissimi premi, La sala professori di İlker Çatak, regista turco-tedesco al suo quarto lungometraggio, non ne ha ancora vinto uno, e c’è da domandarsi il perché. Intanto, fuori dalle sale cinematografiche si fa una lunga, bellissima fila per vederlo, e alla fine ne è valsa davvero la pena: si sente negli applausi del pubblico e si respira nell’aria densa di emozioni e di domande all’uscita. Domande ed emozioni che hanno trovato nella critica risposte diverse, almeno in apparenza: c’è chi ripercorre la storia del cinema a tema “educativo” (qualcuno incredibilmente classifica questo film come di genere educativo-didascalico), chi all’opposto cerca di svelare il senso dell’allegoria o della metonimia, chi lo trova kafkiano - non proprio un omaggio, nel centenario della morte, allo scrittore, chiamato ingiustamente in causa allo scopo di proporre ancora e sempre che la verità non è di questo mondo. E c’è perfino chi chiosa, col classico ma mortale attacco alla speranza di chi denuncia la violenza, sintetizzando la morale del film col motto “la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni”: il male è dentro ognuno di noi ed è inutile e perfino dannoso combatterlo. Una scuola tedesca, istituto comprensivo che va dalla primaria alla nostra terza liceo (16-17 anni), è teatro del dramma che si consuma in una seconda media, ovvero nell’età più fragile, perché meno libera: tanto esplosiva nell’esigenza di realizzare una propria identità, quanto ancora incerta e dipendente dal giudizio e dalla volontà degli adulti. Malgrado la magistrale interpretazione di Leonie Benesh, Frau Carla Nowak non è la vera protagonista di questo film. Professoressa di matematica ed educazione fisica, ne è casomai l’icona, a cominciare dal bizzarro tentativo di ravvicinare mente e corpo che la scuola affida proprio a lei, rigida e contratta in una tensione che fin dall’inizio rappresenta bene la solitudine di un mondo interno sofferente e incoerente, tanto da arrivare a sfiorare la malattia mentale vera sotto i colpi del caos che finisce involontariamente per scatenare con l’applicazione dei suoi algoritmi alla vita reale, tragicamente perdendo il rapporto con la realtà umana.

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