Con Luciano Canfora in giuria e Antonio Scurati vincitore, eravamo insieme al Premio Letterario Viareggio Repaci nell’estate del 2015. L’edizione si concluse a fine agosto: la presidente all’epoca era Simona Costa, docente universitaria: lo è stata per sette anni, prima dell’ex direttore del Corsera Paolo Mieli, attuale presidente. Come giornalista, ero stata chiamata per seguire la parte della comunicazione del Premio sulla stampa, la promozione dei libri e dei loro autori, le case editrici. Fu una bella estate, Scurati vinse con Il tempo migliore della nostra vita edito da Bompiani.
Aveva partecipato allo Strega due volte, nel 2009 e nel 2014, ma non era arrivato al traguardo finale che raggiungerà invece successivamente con M. Il figlio del secolo (dello stesso editore) a cui è andato il riconoscimento nel 2019. Il romanzo venne subito stroncato da Ernesto Galli della Loggia storico ed editorialista del Corriere della sera, che gli rimproverava alcuni errori di nomi, date e citazioni e di avere “ritoccato la storia” con il suo racconto. E non fu certo il solo a rimproverarlo. Tecnicamente il romanzo era una biografia romanzata.
Nel ’15, comunque, Scurati che ancora doveva scrivere la (prevista) quadrilogia di M., vinse il Viareggio. Ho ritrovato la motivazione della Giuria: “La struttura del romanzo di Antonio Scurati, corre binaria a descrivere vite di uomini illustri e non. Da una parte l’intellettuale che si oppose al fascismo senza armi ma con la sola forza della ragione, Leone Ginzburg, dall’altra due uomini comuni, i nonni dello scrittore, Antonio e Peppino. Tre personaggi accomunati da un identico valore: l’antifascismo. Un periodo storico cruciale e complesso con i protagonisti seguiti nelle dinamiche di contesti familiari e sociali diversi, geograficamente lontani eppure vicini, colti nello sbigottimento di dover subire la Storia, descritti nella lotta contro la barbarie e spesso nell’isolamento che vissero. Ginzburg un eroe della Resistenza civile, l’uomo e lo studioso che si rifiutò di prestare giuramento al Duce, fra i pochi italiani ad opporsi in un clima di conformismo imperante. Tre personaggi e con loro tante vite di familiari e amici, due storie che appartengono alla nostra storia comune, e per questo vere”.
Motivazioni che già illuminano quale sarà la via seguita dallo scrittore nel futuro, il suo pensiero politico, il suo impegno artistico. “Vorrei dedicare il premio anche ai nostri figli, con l’auspicio che non debbano tornare a vivere quello che abbiamo vissuto cent’anni fa”, afferma nel ’19 come ringraziamento dal palco dello Strega. E oggi, dopo gli splendori e le miserie?
Con la Rai televisione di Stato che ne censura l’intervento su Rai3 alla trasmissione Che sarà in programma su RaiTre la sera del 20 aprile per celebrare il prossimo 25 aprile, offrendo motivazioni a dir poco risibili e finora assai poco chiare, l’interrogativo che sorge spontaneo è il seguente: se a cadere per primi a causa del loro impegno civile e politico, sono intellettuali di chiara fama – drappello di cui il professor Canfora è certamente partecipe – e scrittori pluripremiati, che fine faranno tutti gli altri?
Per non parlare del giovane rapper Ghali, che non dimentichiamolo, si azzardò dal palco di Sanremo in febbraio, a chiedere lo “stop al genocidio” (dei palestinesi) per propalare la pace nel mondo. E, ancor prima, lo scorso anno al debutto scaligero di Milano, il signore che gridò “Viva l’Italia antifascista!” e venne immediatamente identificato dalla Digos. Oltre agli studenti randellati in svariate occasioni in cui abbiano manifestato, ai saluti fascisti di Acca Larentia che passarono inosservati dai radar del governo pur riempiendo paginate di quotidiani e così procedendo.
Dobbiamo fare tutti i conti con la Storia. Urgentemente.
Ecco il monologo censurato di Antonio Scurati:
“Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924.
Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro.
Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania.
In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944.
Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati.
Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista.
Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia?
Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via.
Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023).
Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra.
Finché quella parola, Antifascismo, non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana.”
Antonio Scurati al festival Incroci di civiltà, Venezia. Foto di Greta Stella, courtesy del festival