Siamo stati al Mart di Rovereto. Fino al 5 maggio 24 artisti cinesi mostrano le nuove strade che ha intrapreso la pittura nel loro Paese, dall'imitazione ironica e corrosiva della "maniera" occidentale al recupero e alla ricreazione di tradizioni antiche

La mostra itinerante di Rovereto rappresenta un’occasione unica per conoscere la più recente produzione artistica di un Paese-continente che ha sperimentato negli ultimi decenni cambiamenti e trasformazioni epocali di dimensioni colossali e che continua ad essere al centro di un processo evolutivo ancora in corso che ne sta cambiando radicalmente le fondamenta della società e la sua stessa identità. L’arte quindi può rappresentare un’occasione unica per cercare di comprendere meglio questi processi e per cercare di comprendere la loro direzione. Il titolo di questa mostra, “global painting” (aperta fino al 5 maggio), ci offre una preziosa indicazione. La globalizzazione rappresenta, con tutti i suoi limiti e contraddizioni, l’orizzonte verso il quale si sta muovendo la società cinese, anche se con alcune sue specificità legate alla sua storia. «La Cina è un paradigma della globalizzazione in atto, ed è proprio da questo assunto che si sviluppa il percorso espositivo della mostra Global painting. La nuova pittura cinese – scrive Carlotta Scarpa in Di tutto il possibile (articolo pubblicato nel catalogo della mostra).
L’arte figurativa cinese appare in questa mostra come un vastissimo territorio finalmente aperto alle influenze della tradizione figurativa novecentesca, ma nel quale anche le proprie tradizioni artistiche vengono ricodificate alla luce del cambiamento sociale e antropologico che sta attraversando il Paese negli ultimi decenni.

Feng Zhijia, Van Gogh’s room, 2023

La scelta di Lü Peng, il curatore di questa mostra, di puntare il riflettore su una generazione, quella nata negli anni ottanta, ha permesso di offrire al visitatore un quadro estremamente variegato e complesso; difficile ridurre a un minimo comune denominatore le opere dei 24 pittori (tra cui tre pittrici) presentati, tuttavia se c’è qualcosa che li accomuna, è l’audacia (a volte l’impudenza) nel mettere il visitatore di fronte a una visione del mondo che disorienta, provoca sconcerto, poiché mette in discussione le sue certezze e i suoi punti di riferimento, attraverso un uso persino impudente della chiave ironica e grottesca, ma a volte anche di quella lirica. Gli elementi e gli strumenti della tradizione figurativa novecentesca vengono usati da questi giovani pittori cinesi per stravolgerne i canoni e i principi, mescolando e contaminando diversi linguaggi figurativi; nei loro quadri si possono ravvisare gli echi lontani dello stile real-socialista, ma questa volta distorto, al servizio di una narrazione radicalmente diversa, decisamente meno ottimista. Allo stesso tempo è facile scorgere riferimenti alla Pop-art,, ma anche in questo caso in un orizzonte diverso da quello della società nordamericana degli anni 60, alla Street-art e ai graffiti, ovviamente del tutto fuori-contesto, giustapposti a riferimenti stravolti alla pittura fiamminga (Memling. Hieronymus Bosch e Van Eyck, questi ultimi a volte “citati” letteralmente) magari giustapposti a riferimenti al mondo dei cartoni animati e dei manga, in una visione totalmente dissacrante che mette in discussione l’intera narrazione euro-centrica dell’arte. Questi pittori dimostrano non solo di conoscere bene, ma anche di sapere usare i codici figurativi dell’arte di tutto il mondo, sono in grado di decodificarli e ri-codificarli, combinandoli in modo originale e provocatorio. Tra l’altro dimostrano di conoscerli profondamente: sorprendono, ad esempio, gli evidenti riferimenti al mondo figurativo di De Chirico, presenti in almeno due autori, utilizzato come tramite per (r)aggiungere anche la classicità greco-romana. Come se l’occhio di questi giovani pittori avesse potuto vedere, e di conseguenza assimilare, la storia dell’arte per la prima volta nella sua totalità, grazie all’apertura di una società nella quale lo stato ha smesso di intervenire per indirizzare e censurare l’espressione artistica. Come se il dilemma tra realismo e astrazione intorno al quale l’arte del novecento si era impantanata, venisse superato di slancio. “L’esaltazione della vita come flusso incontenibile che va oltre il territorio, il tempo e la lingua è un aspetto costante e aperto all’eterno farsi e disfarsi dell’esistenza” scrive in proposito Carlotta Scarpa nel citato articolo.

Meng-Site-Galaxy-Dust-2017

Lü Peng, nel suo articolo La nuova pittura cinese diventa globale che introduce il catalogo, scrive: “ho cominciato a utilizzare l’espressione «nuova pittura cinese» nel 2007, collocandola nell’intersezione tra Realismo cinico e Pop politico”. Probabilmente questa è la definizione analitica nella quale, seppure per approssimazione, si potrebbe ricomprendere tutte le 108 tele in mostra (anche perché a formularla è colui che le ha selezionate e presentate). Carlotta Scarpa, invece, nel suo citato articolo le definisce in modo sintetico come “la restituzione di epifanie improvvise che, pur nascendo all’insegna di un’assoluta libertà espressiva svincolata da una tematica comune, si ibridano senza confondersi in un parallelismo che coinvolge ogni esperienza personale in un racconto collettivo, in bilico tra una narrazione corale, che si fa sempre più minuziosa, e un’unica immagine, di estrema sintesi, senza sequenza”.
A mio avviso la mostra di Rovereto rappresenta prima di tutto una celebrazione della pittura. La dimostrazione più lampante che, senza nulla togliere a tutte le altre forme di espressione artistica e ad altri medium, la tela possa essere il supporto sul quale l’artista raffigura. E forse prima di tutto è proprio questa fiducia nella raffigurazione a unire i 24 artisti di questa mostra, che d’altra parte non appaiono per nulla ingenui o sprovveduti. Sullo sfondo si intravede la “mano invisibile” del mercato dell’arte, col quale la generazione degli artisti nati negli anni Ottanta ovviamente ha dovuto confrontarsi. La figurazione rappresenta il linguaggio che i giovani artisti di questa mostra dimostrano di avere assimilato e ri-codificato in modo originale, anche perché il linguaggio figurativo non era stato abbandonato dalla generazione precedente. Quegli artisti, che avevano vissuto le repressioni dopo i fatti di Tienanmen, e che avevano dovuto lasciare il paese, avevano messo l’arte al servizio della rivendicazione della libera espressione artistica. Questa generazione di artisti nati negli anni 80 invece per la prima volta ha avuto la possibilità di esprimersi liberamente e di proporre le loro opere al mercato mondiale dell’arte.
L’arte contemporanea cinese infatti è anche un rilevante fenomeno di mercato, ma che non cessa di stupire per la sua grande vitalità. I 24 artisti di questa mostra non offrono una visione univoca, non ci danno risposte sulle prospettive presenti e future del loro Paese. Attraverso i loro quadri invitano il visitatore a porsi lui stesso queste domande, lo provocano, mettendo in discussione la visione eurocentrica dell’arte.

Xu Dawei, Red sun, 2023.