La riforma costituzionale voluta da Meloni, letta con gli strumenti dell’antropologia politica, rappresenta il modello “paterno”, caro alle autocrazie. Che nella storia si è sempre scontrato con il modello “fraterno”, orizzontale, ovvero la democrazia
Con l’approdo in Senato del testo del premierato, il dibattito sulle riforme istituzionali, rimasto finora in sordina, ha cominciato ad alzare la voce. Protagonisti sono ovviamente i costituzionalisti che hanno preso in larga parte posizione contraria sulla base di solidi argomenti giuridici. Un contributo nuovo, da una prospettiva diversa, può venire invece dall’antropologia politica, un ramo dell’antropologia culturale nato per indagare le possibili forme di organizzazione politica attuate nelle comunità umane.
L’antropologia culturale fin dai primordi poté constatare che i cosiddetti “selvaggi” non erano affatto schiavi di istinti incontrollati e non vivevano in comunità prive di regole, come sembrava suggerire il termine con cui venivano designati. In particolare la ricerca etnografica mostrò che i popoli “selvaggi” erano stati capaci di sviluppare una varietà di organizzazioni politiche perfettamente funzionanti anche in assenza della forma Stato. La distinzione fra società statuali e società prive di Stato o “acefale”, divenne la pietra angolare su cui l’antropologia politica iniziò a costruire il suo edificio teorico.
In tempi recenti una nuova dicotomia, che ricalca solo in parte la precedente, è stata introdotta dal collega e compagno di ricerche Alberto Cacòpardo in un volume dall’intrigante titolo Chi ha inventato la democrazia? (Meltemi 2019). La nuova dicotomia è quella fra due poli di un continuum, caratterizzati come “modello fraterno” e “modello paterno”. A un estremo abbiamo forme politiche a struttura orizzontale, basate su un rapporto paritario fra i membri del gruppo. All’estremo opposto troviamo invece forme a struttura verticale, che conoscono la gerarchia e la frattura fra dominatori e dominati, come gli assolutismi e le dittature. L’autore illustra la genesi e le articolazioni dei due modelli nell’ottica della domanda posta nel titolo, per indagarne poi le vicende nella zona delle nostre ricerche, la regione afghano-pakistana-indiana del Hindukush-Karakorum.
Il modello fraterno, che l’etnografia ha costantemente riscontrato nelle società acefale, senza Stato, ha con ogni probabilità caratterizzato le comunità della nostra specie homo sapiens per il 95% dei circa 200.000 anni della sua storia. È ragionevole presumere che per decine di migliaia di anni gli umani abbiano conosciuto solo il modello fraterno, di cui sono esistite, ed esistono ancora, innumerevoli varianti. In società di questo tipo possono emergere dei leader, ma dotati di influenza e non di potere: non possono imporre la loro volontà con la forza, e per acquisire e mantenere la loro posizione, devono assolvere a una serie di obblighi nei confronti della comunità, in primis quelli di distribuire beni e di risolvere dispute; mentre le decisioni che riguardano tutti - ovvero quelle della sfera politica - in sistemi di questo tipo vengono prese tipicamente da consigli di anziani o in pubbliche assemblee aperte a tutti gli interessati.
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