«C’è una implosione sociale interna in Israele. Ebrei laici e religiosi hanno ben poco in comune», dice lo storico israeliano che denuncia il governo di Tel Aviv per il disastro umanitario di Gaza. E sottolinea la possibilità che nasca un nuovo movimento di liberazione palestinese
«La Palestina non era un deserto che aspettava di sbocciare; era un paese pastorale sul punto di entrare nel XX secolo come società moderna, con tutti i benefici e le problematiche di tale trasformazione. La sua colonizzazione da parte del movimento sionista avrebbe trasformato questo processo in una catastrofe per la maggior parte dei nativi che abitavano quelle terre», così Ilan Pappé nel suo 10 miti su Israele (Tamu edizioni, traduzione Federica Stagni). Docente all’ateneo di Exeter nel sudovest britannico, il rinomato studioso di origine israeliana è tra le voci più abrasive nella ricostruzione critica dei fatti di Palestina e dei misfatti compiuti dal sionismo. La sua analisi è invisa a vasti settori dell’accademia ebraica e del mondo politico israeliano. Forte della sua storia di ex docente universitario a Haifa, di attivista nella compagine di sinistra Hadash e per la tenacia e ricchezza della sua ricerca storica, il professor Pappé sviluppa argomenti che demoliscono il compatto monolite occidentale in difesa della condotta israeliana, mentre da oltre sei mesi è ancora in pieno svolgimento lo sterminio dei palestinesi di Gaza. Lo abbiamo contattato a pochi giorni di distanza da un suo recente intervento a Palazzo Vecchio nell’ambito di una conferenza internazionale promossa dal consiglio comunale di Firenze e dall’Anpi Firenze.
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