L'ebook di Sbilanciamoci! e Greenpeace, con molti dati e ricerche di esperti - prefazione di Carlo Rovelli - documenta la crescita delle spese militari in Europa, in Italia e nel mondo e denuncia la china pericolosa che stiamo percorrendo. Nella corsa alla produzione di armamenti partecipano, tra l'altro, anche i big delle piattaforme digitali

Non si tratta di essere pacifisti a oltranza: non è una questione ideologica. Il tentativo di farci vivere nella paura è continuo e palese, anche se come cittadine e cittadine ci sfugge il quadro decisionale e soprattutto il contesto complessivo finanziario, economico e politico che a quel quadro fa da cornice. Il fatto è che non siamo noi a decidere delle nostre sorti, né delle sorti del nostro Paese. In breve non siamo padroni del nostro destino. Questa ignoranza e il fortissimo senso di impotenza che ne deriva crea un mix travolgente per chiunque.
Come possiamo capire, ad esempio, i meccanismi che alimentano guerre e militarizzazione, nonché le loro conseguenze economiche e sociali? A chiarire una situazione cruciale, vista la continua minaccia – anche atomica – che si ripropone oggi di nuovo, dai tempi che credevamo ormai passati della guerra fredda – arriva “Economia a mano armata 2024. Spesa militare e industria delle armi in Europa e in Italia”, nuovo ebook realizzato da Sbilanciamoci! e Greenpeace per documentare le politiche di riarmo e i loro esiti, le dinamiche che alimentano i conflitti e le alternative praticabili.«Siamo di fronte all’estendersi e all’aggravarsi delle guerre», affermano da Sbilanciamoci!, campagna che raccoglie 50 associazioni e dalla rete internazionale Greenpeace, con tre milioni di sostenitori in 55 paesi. Entrambe sono impegnate sui temi dell’ambiente, della solidarietà e della pace.
Oltre ai conflitti principali (per noi europei e occidentali) tra Ucraina e Russia, nonché tra Israele e Palestina in un Medio oriente vicino in cui si moltiplicano le azioni militari, esistono le molte guerre in Asia e in Africa che sfuggono alla nostra attenzione. Europa e Italia sono coinvolte, come sottolineano le associazioni, «in misura crescente e hanno preso la strada dell’aumento della spesa per armamenti e della militarizzazione dell’economia».
L’ebook ha una prefazione del fisico Carlo Rovelli e inizia con un quadro delle politiche della guerra e della pace offerto dalle analisi di Giulio Marcon e Francesco Strazzari. Una parte rilevante del testo è dedicata poi alla traduzione italiana del Rapporto di Greenpeace “L’Europa delle armi. La spesa militare e i suoi effetti economici in Germania, Italia e Spagna”, pubblicato in inglese nei mesi scorsi. Lo studio di Chiara Bonaiuti, Paolo Maranzano, Mario Pianta e Marco Stamegna, esamina la crescita della spesa militare in Europa nel quadro dell’andamento delle economie, mettendo a confronto gli effetti su crescita e occupazione della spesa per armi e della spesa sociale e ambientale. Il report offre una buona notizia, che merita di essere ampiamente divulgata: i suoi risultati mostrano che «spendere per le armi porta a una minor espansione rispetto alla spesa civile».
L’intreccio tra spese militari e industria delle armi è analizzato da Francesco Vignarca, responsabile della Reta italiana per la pace e il disarmo. Raul Caruso mette in discussione le tesi secondo cui più spesa militare porta a maggior sicurezza e esamina la vicenda dell’integrazione europea nella spesa militare. Sofia Basso, che ha coordinato il lavoro per l’ebook, presenta un quadro delle missioni militari all’estero che hanno l’obiettivo di proteggere le fonti energetiche – gas e petrolio – nelle aree di conflitto. Un contributo importante è quello di Gianni Alioti che, con il suo lavoro, offre un’attenta ricostruzione dell’industria militare in Europa e in Italia. In due capitoli analizza la struttura del settore, la classifica delle maggiori imprese delle armi – da Leonardo (ex Finmeccanica) a Fincantieri – la gerarchia esistente tra i produttori, la scala multinazionale delle attività, la dimensione finanziaria che diventa sempre più importante, i dati sull’occupazione. Una documentazione preziosa per capire strategie e ruolo dell’industria militare di casa nostra.
L’approfondimento sul caso del nuovo caccia Tempest, inconsueta co-produzione internazionale che coinvolge la penisola, è offerto da Guglielmo Ragozzino, mentre Giorgio Beretta presenta il quadro delle esportazioni italiane di armamenti, mostrando le responsabilità dello Stato nell’alimentare conflitti in corso e aree di tensione internazionale. Ma è possibile uscire dalla logica della produzione di armi? Lo chiede Marinella Correggia, spiegando storia ed esperienze di riconversione dal militare al civile in Italia – dalle mine Valsella alle bombe Rwm in Sardegna. Infine, Andrea Coveri e Dario Guarascio esplorano la nuova frontiera delle produzioni militari, quella delle piattaforme digitali, mostrando come le grandi imprese americane del settore – Amazon, Google, Microsoft – sono sempre più coinvolte nelle commesse militari degli Stati Uniti e applicano ai preparativi di guerra le tecnologie digitali finora sviluppate in campo civile.
«Penso che ci troviamo su una china molto pericolosa – avverte Rovelli – L’Orologio dell’Apocalisse, la valutazione periodica del rischio di catastrofe planetaria iniziata nel 1947 dagli scienziati del Bullentin of the Atomic Scientists, non ha mai indicato un livello di rischio alto come ora. Le tensioni internazionali sono cresciute bruscamente. Tanti governi moltiplicano forsennatamente le spese militari. Si parla apertamente di possibile guerra atomica». E aggiunge: «L’Europa al momento spersa, potrebbe giocare un ruolo nel calmare le acque. Mentre altri paesi come Austria, Irlanda, Spagna, cercano posizioni di neutralità, equilibrio, invocano la calma, l’Italia è totalmente allineata ai più bellicosi».
Sarebbe bene ricordare che nella nostra Costituzione del 1948 è scritto: «L’Italia ripudia la guerra»: una dichiarazione categorica, un imperativo assoluto. E molti di noi rammentano ancora il perché. Altri no, intendono farsi “trascinare in guerra” – come raccontano i libri di scuola – mentre solo pochi (speriamo pochissimi) vogliono davvero “entrare in guerra”. Di questo occorre farsi forti per tacitare una minoranza al comando, facendo sentire la propria voce di condanna risuonare alta e chiara. L’Italia ripudia anche coloro che la guerra la vogliono.