«L’Italia non è uguale per tutti: non lo è nelle prestazioni del welfare, né sul piano sociale ed economico». Lo affermano la Fondazione con il Sud e Demopolis attraverso un’indagine approfondita, che è stata presentata il 21 maggio a Roma. Se il 70% dei residenti nel Nord promuove i servizi pubblici nel proprio territorio, il dato si riduce al 39% nel Sud e nelle Isole, dove il 61% dei cittadini è del tutto insoddisfatto. Una doppia visione di Paese a seconda di dove si vive, che emerge con più forza quando si parla di autonomia differenziata. Per più di 1 italiano su 2 al Nord è una misura “necessaria e urgente” (solo il 14% al Sud). Per il 66% degli italiani che vivono al Nord l’attuazione dell’autonomia differenziata è una misura positiva, l’opposto avviene al Sud con l’81% che vede negativamente l’attuazione. La grande stagione del Pnrr sembra un’occasione mancata: ma stavolta senza differenze fra Sud e Nord. Alla vigilia delle elezioni europee, meno di un quinto degli italiani confida che le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza saranno spese in modo efficace per far ripartire il Paese. E il 53% degli italiani che non hanno votato negli ultimi anni indica come motivazione la delusione e la sfiducia nei partiti. Sono alcuni dei dati emersi dall’indagine promossa dalla Fondazione Con il Sud condotta dall’Istituto Demopolis su un campione di oltre 4mila intervistati, i cui risultati sono stati presentati dal presidente della Fondazione Stefano Consiglio e dal direttore di Demopolis Pietro Vento. Lo studio ha analizzato l’opinione pubblica nazionale rilevando le dimensioni problematiche che gravano sulla quotidianità e sul futuro del Paese, i divari territoriali e di cittadinanza percepiti dagli italiani, ma anche le propensioni degli intervistati sui temi caldi del dibattito politico come la riforma dell’Autonomia differenziata. «Deve far riflettere che l’80% degli italiani, al Nord come al Sud, siano preoccupati dalla fragilità della sanità pubblica – ha commentato Consiglio – Da questo clima di sfiducia e scettiscismo verso il Pnrr che, in teoria, dovrebbe essere la principale leva di profondo cambiamento positivo emerge un’attesa: che, nella pianificazione dello sviluppo territoriale, lo Stato ascolti e coinvolga realmente imprese e terzo settore. Un elemento cruciale anche per recuperare la fiducia tra i cittadini e, forse, la speranza che il Pnrr non sia completamente un’occasione mancata. Dopotutto – ha proseguito Consiglio – 8 italiani su 10 ritengono che sia il ritardo economico e sociale del Sud a bloccare la crescita complessiva del Paese. Ma ne usciamo soltanto insieme, nei fatti e non a parole».
Servizi pubblici e welfare oggi in Italia: quali sono le priorità dei cittadini per il futuro
Non è solo una faccenda di velocità: le “Italie” sono almeno due per una questione di servizi essenziali. E dopo le crisi sistemiche innescate dalla pandemia e dalla deriva inflazionistica, che hanno sferzato duramente il Paese nell’ultimo biennio, le disuguaglianze si sono acuite e si sono ulteriormente dilatati i divari di cittadinanza. «Meno di un quinto degli italiani – ha spiegato il direttore di Demopolis, Pietro Vento – ritiene che il welfare pubblico garantisca oggi tutte le prestazioni di cui c’è bisogno nella propria regione di residenza. I servizi sociali, la sanità, la scuola sono garantiti nella dimensione strettamente essenziale, nella percezione del 43%. Ma il 38% afferma che non sono più garantiti oggi neanche i servizi fondamentali del welfare, con un dato che a Sud sale al 58%».
A livello nazionale, il 58% degli italiani promuove i servizi pubblici, ma con nette differenziazioni territoriali: in un’ideale pagella scolastica, le prestazioni sui territori ottengono almeno la sufficienza per il 70% dei cittadini residenti a Nord, cifra che si riduce al 57% fra quanti vivono nel Centro Italia e si assottiglia al 39% nel Sud e nelle Isole. Su tutte le possibili ipoteche sul futuro del Paese – secondo l’indagine Demopolis per Fondazione Con il Sud – è la sanità a rappresentare la dimensione più problematica nella percezione dei cittadini: per l’84%, dopo le crisi che si sono susseguite negli ultimi anni, il problema che peserà maggiormente sul futuro dell’Italia è la fragilità della sanità pubblica. La deriva inflattiva e l’aumento del costo della vita, con la riduzione del potere d’acquisto delle famiglie, sono citati dai due terzi degli intervistati, mentre il 62% richiama le carenze nel welfare e il 59% l’insicurezza urbana e la criminalità.
L’occasione Pnrr e la sfiducia complessiva degli italiani: il governo ascolti
Ma esistono questioni che si sollevano ben oltre la quotidianità nazionale e che iniziano a minacciare il futuro, nella percezione dei nostri connazionali: lo spopolamento e la denatalità, con la riduzione delle nascite e l’invecchiamento della popolazione, citati dal 58%, ma anche gli effetti del cambiamento climatico (53%), che il Paese inizia ad esperire con frequenza sempre maggiore, nelle forme degli eventi estremi, dalle alluvioni alle ondate di calore smodato e di siccità.
Su un dato esiste davvero un’unica Italia: la percezione di inefficacia dei fondi Pnrr. Solo il 16% degli italiani (il 17% al Nord, il 14% al Sud) ritiene che le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza, assegnate all’Italia dall’Unione Europea, saranno spese in modo efficace per far ripartire il Paese. Secondo l’analisi condotta dall’Istituto Demopolis per la Fondazione con il Sud, gli italiani individuano due principali problemi che gravano su Comuni e Amministrazioni pubbliche per avviare i progetti del Pnrr: le lentezze della burocrazia e l’insufficienza di figure specializzate nella Pubblica amministrazione (78%), ma anche la bassa qualità o improvvisazione di molti progetti (60%). Un dato che evidenzia come vi sia una percezione consapevole nell’opinione pubblica sui limiti concreti della messa in opera dei progetti del Pnrr, come conferma anche un recente studio promosso dalla Fondazione con il Sud e condotto dal professor Gianfranco Viesti dell’Università di Bari da cui emerge come, soprattutto al Sud, vi sia un forte carenza di dipendenti e personale qualificato nelle Pa. È su alcuni mancati obiettivi, più che su altri, che si rivelano le claudicanti prestazioni del Piano. Il 43% degli intervistati immagina che il Pnrr riuscirà a dotare il Paese di infrastrutture all’avanguardia, ma meno di un quarto confida che possa diminuire il divario tra Settentrione e Mezzogiorno, mentre appena un quinto degli intervistati immagina che il Pnrr possa contenere l’emigrazione delle giovani generazioni verso il nord o l’estero.
L’Autonomia differenziata e l’impatto ipotizzato dal Nord al Sud: il divario
Mentre avanza l’iter parlamentare sul Ddl varato dal governo, la riforma dell’Autonomia differenziata ottiene nel Paese valutazioni in chiaroscuro. Il disegno al vaglio delle Camere prevede il trasferimento di diverse competenze statali alle Regioni, che potranno trattenerne il gettito fiscale, non più distribuito su base nazionale. Malgrado la riforma preveda livelli minimi essenziali di prestazione nei servizi (i Lep) il 53% degli italiani ritiene che sia inopportuna e sbagliata, perché favorirebbe solo le regioni più ricche. È solo del 35% il segmento che la ritiene necessaria e urgente, perché aiuterebbe tutte le regioni.
Nell’analisi condotta sulle valutazioni dei cittadini la variabile “area di residenza” ha un’incidenza marcatissima: la maggioranza assoluta dei residenti a Nord, il 53%, è convinta dell’urgenza della riforma, ma il dato si contrae al 29% nel Centro, per ridursi ulteriormente al 14% nel Sud e nelle Isole. A pesare sui giudizi degli intervistati è innanzi tutto la percezione di quanto l’attuazione dell’Autonomia differenziata possa incidere sulla qualità dei servizi erogati nella regione di residenza. I due terzi degli intervistati a Nord prevedono un impatto positivo della riforma, ma è solo il 38% ad ipotizzarlo per il centro Italia ed appena l’11% per il Mezzogiorno.
Esiste un divario di sviluppo nello Stivale che, a differenza di quanto accaduto in altri Paesi europei, non è mai stato colmato e si è addirittura progressivamente aggravato. E le forme di sostegno, le risorse speciali, i fondi di coesione destinati per decenni alle aree in deficit di sviluppo, poco hanno inciso sulla trasformazione socio-economica del Mezzogiorno e sulla reale unità della Penisola. Di questo gli italiani sono ben consapevoli. Considerando le differenze Nord-Sud, appena il 18% degli italiani ritiene che oggi, sul piano sociale ed economico, l’Italia sia unita. Non lo è per l’82%. Inoltre, il 45% sostiene che il divario si sia aggravato negli ultimi 5 anni, con una percezione che fra i residenti a Sud e nelle Isole sale al 60%.
Lo Stato si occupi di imprese e cittadini con scelte di un respiro condiviso per unire il Paese
L’osservazione delle motivazioni del divario mai sanato si mantiene continua e policentrica. Un primo elemento di riflessione che emerge dall’indagine è questo: i cittadini meridionali (69%) ritengono che il Mezzogiorno abbia inciso poco o per niente nelle scelte della politica nazionale. Per l’80% degli italiani il ritardo economico e sociale del Sud blocca la crescita complessiva del Paese.
Un ulteriore dato Demopolis-Fondazione con il Sud – alla vigilia delle elezioni Europee – conferma le dinamiche di sfiducia istituzionale alla base dell’incremento dell’astensionismo: chi ha scelto di non votare, nelle ultime tornate elettorali, lamenta di certo delusione verso i partiti (53%), ma anche una complessiva sfiducia nella capacità della politica di incidere sulla vita reale delle famiglie (38%) e nella possibilità, votando, di cambiare la gestione della cosa pubblica (36%).
In questo contesto, dal report si evince l’attesa di un approccio rinnovato alle politiche di sviluppo. Per la schiacciante maggioranza degli italiani (65%), ad occuparsi di pianificare lo sviluppo sui territori dovrebbe ancora essere lo Stato, purché con l’ascolto e il coinvolgimento di imprese e cittadini, anche in forma organizzata, affinché l’assunzione delle scelte di interesse collettivo abbia finalmente un respiro condiviso.
Una conclusione preoccupante
Oltre 22 milioni di italiani sono orientati a non votare alle prossime Elezioni europee dell’8 e 9 giugno. Il dato, inedito e appena rilevato, è stato annunciato nel corso della presentazione dell’indagine Fondazione con il Sud – Demopolis “Il Sud e l’Italia alla vigilia delle europee”. Il 53% degli italiani che non hanno votato negli ultimi anni indica come motivazione “la delusione e la sfiducia nei partiti”. A buon intenditor poche parole verrebbe da dire ai politici tutti.
Nella foto: manifestazione contro l’autonomia differenziata, Napoli, 17 marzo 2024