"Come nel jazz lavoro su una struttura armonica e una melodia di base su cui si innesta l’improvvisazione", racconta questo straordinario maestro di poesia sonora, che il 25 maggio riceve il premio Pagliarani alla carriera

L’occasione dell’assegnazione del premio nazionale Elio Pagliarani alla carriera (arrivato alla sua nona edizione) al “poliartista”, come ama definirsi, Giovanni Fontana, ci ha dato l’opportunità di incontrare una delle figure più rappresentative della poesia sonora e visiva della scena internazionale: Fontana ha collaborato con i poeti francesi Henri Chopin e Bernard Heidsieck, riconosciuti tra i fondatori della poesia sonora, e con Adriano Spatola; ha scritto testi poetici anche per diversi musicisti, tra cui Ennio Morricone e Roman Vlad, e una nuova versione dell’Histoire du soldat di Igor Stravinsky. La sua attività di ricerca sul rapporto tra il testo ed i linguaggi musicali gli era già valsa, qualche anno fa, il Premio Internazionale Alberto Dubito alla carriera, in seguito al quale è stato poi pubblicato un volume a lui interamente dedicato, Giovanni Fontana, un classico dell’avanguardia, a cura di Patrizio Peterlini e Lello Voce per i tipi di Agenzia X (2022). Per chi volesse conoscere o semplicemente approfondire la ricerca artistica di Fontana, che spazia dalle arti visive all’architettura, dal teatro alla musica, alla letteratura, questo volume risulterebbe molto utile perché, oltre ad esporre la sua opera intermediale, testo-partitura Radio/Dramma, dedica spazio alla sua teoria della “poesia epigenetica” e propone un’antologia critica di brani inediti, di studi a lui dedicati da alcuni tra i maggiori critici, poeti e artisti sperimentali. Fontana ha proposto le sue performance in quasi tutto il mondo e con le sue opere verbo-visive è stato ospitato in ottocento mostre, tra cui la Quadriennale di Roma e la Biennale di Venezia. Secondo il teorico della “poesia epigenetica” le performance eseguite trasfigurano il testo poetico di partenza, il quale pur conservando la sua unicità originaria, trattiene gli echi del suo analogo dinamico. “Possiamo dire che la struttura genotipica del pre-testo è alla base di un processo epigenetico che ha come risultato un fenotipo poetico in evoluzione continua” afferma Fontana; in altre parole, il performer agisce sui testi in un preciso spazio e per un dato tempo con la conseguenza di rimodellare il testo da cui si è partiti e che, ad una successiva lettura, pur apparendo identico, non sarà mai più lo stesso. Ma perché, secondo Fontana il testo poetico è un pre-testo? “Beh, perché Il testo originario è pulsante di qualità latenti che, però, potranno essere apprezzate solo in una successiva dimensione, cioè fuori dalla pagina, oltre la pagina, sviluppate e valorizzate attraverso l’uso della voce, che sarà posta al centro della performance. Ma non solo la voce concorrerà a questo arricchimento del testo, entreranno in gioco i gesti e i movimenti del corpo, l’uso del colore e della luce, i rumori e i suoni.” In questo senso per il poeta il testo non sarebbe che un punto di arrivo temporaneo, “è una memoria da riscrivere nello spazio e nel tempo in una configurazione ben più complessa. Ecco perché parlo di pre-testo: un testo che è a monte della riscrittura d’azione, un testo che è un pretesto per mettere il corpo del poeta al centro del suo poema.” Il nostro “poliartista” parla dunque del testo poetico come di una struttura viva, pulsante, carica di tensioni, che stringe in sé le ragioni della voce e che racchiude tutta l’energia potenziale da liberare nel corso della performance. È un po’ quello che accade nella musica. “Qual è la musica?” si chiede Fontana, “quella scritta sulla partitura o quella che si ascolta davanti ad un’orchestra che suona? Ovviamente, essere coinvolti nell’ascolto può essere più gratificante, ma ciò non toglie nulla al valore della partitura, che certamente non rappresenta un semplice strumento di servizio.” Il pre-testo di Fontana subisce, quindi, la trasformazione e l’arricchimento della performance, e quindi, pur restando uguale nella scrittura, non sarà più lo stesso. “Come nel jazz” afferma “abbiamo una struttura armonica e una melodia di base su cui si innesta l’improvvisazione che è legata a quel preciso momento, ma si riverbererà nuovamente quando quel brano sarà rieseguito, così avviene nella poesia sonora.” Se tiriamo in ballo la musica improvvisata, si dovrebbe poter affermare che ogni performance non è mai uguale a sé stessa; si potrebbe dire che ogni performance di poesia sonora è irriproducibile e unica? Per Fontana è proprio così, “c’è l’assoluta unicità e di conseguenza quando il poeta viene a mancare, dobbiamo fare i conti con una perdita irreparabile. Certo, le riproduzioni tecnologiche ci consentiranno di rivedere o riascoltare quella performance, ma non sarà più la stessa cosa.”

Se consideriamo la performance poetica alla stessa stregua di una performance musicale di un solista che fa il suo assolo, il rapporto con il pubblico dovrebbe essere indiscutibilmente importante, “Il pubblico ha una funzione chiave nell’azione poetica”, conferma infatti Fontana, “non solo per quelle che possono essere le immediate risposte del performer alle sue sollecitazioni, ma anche per come interagisce o collabora, spontaneamente o perché coinvolto”. Nella concezione africana della performance, il pubblico è parte integrante dello spettacolo e ne determina l’andamento svolgendo, a volte, un ruolo attivo addirittura determinante. Con una visione simile Fontana afferma che la relazione con il pubblico non solo è importantissime, ma va valutata “anche in funzione della geometria dello spazio perché un conto è una disposizione in una sala di un teatro moderno oppure in uno spazio all’aperto, come una piazza o un vicolo, o di un edificio industriale. E poi c’è il contatto fisico, a volte infatti posso decidere di sussurrare i miei versi nell’orecchio di ciascuno degli spettatori come è accaduto in AnnArt, all’Internaztional Living Art Festival in Romania”. Giovanni Fontana ha creato dei veri e propri romanzi sonori, tra i quali Tarocco Meccanico nel 1990 e Chorus nel 2000 e si è dedicato alla sperimentazione acustica a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta. Nel corso della sua ricerca sui suoni ha prodotto opere intermediali, tra le quali ricordiamo la pièce radiofonica Le droghe di Gardone e numerosi videopoemi, tra i quali Poema Bonotto; il suo ultimo disco è Epigenetic Poetry del 2016. Il Premio Elio Pagliarani alla carriera arriva in un momento ricco di impegni per l’artista. Infatti, è in allestimento a Napoli, fino al 31 luglio, la mostra Millenanni Terzo Anno – Henri Chopin. Visiva Utopia, curata da Giovanni Fontana insieme a Giuseppe Morra e Patrizio Peterlini presso la Casa Morra – Archivi d’Arte Contemporanea. Henri Chopin, scomparso nel 2008, è stato un esponente di un percorso inedito nella corrente del concretismo internazionale. Durante il secondo conflitto mondiale, prenderà parte alla marcia della morte e fuggirà dal campo di prigionia di Olomouc, nell’attuale Repubblica Ceca. Inoltre, è in corso fino al prossimo 7 giugno, una mostra personale di Fontana dal titolo “TRAME. Epigenetic answers” un allestimento di cinquanta opere di piccolo formato presso il MAC, Museo d’Arte Contemporanea del Piccolo Formato a Guarcino, in provincia di Frosinone. Secondo il critico letterario Francesco Muzzioli, la risonanza internazionale del lavoro di Fontana e amplificata anche dal fatto che il poliartista opera con forme espressive in gran parte translinguistiche, e questo gli consente un’apertura comunicativa sovranazionale che non avrebbe restando sul terreno della pagina e dei suoi significati strettamente linguistici.