A colloquio con Steven Forti, con il docente e saggista in Spagna in occasione del festival Encuentro, dove il 2 giugno intervistiamo la storica sindaca di Barcellona Ada Colau

La Spagna di Pedro Sánchez ha riconosciuto lo Stato di Palestina, insieme all’Irlanda e alla Norvegia (e prossimamente la Slovacchia) . Questa decisione era già nell’accordo di governo con Sumar e se ne parlava già nel 2014 ma ora è un fatto concreto. Quale è il senso di questo importante passo? E’ sufficiente? Cosa può smuovere? Lo abbiamo chiesto a Steven Forti professore di Storia contemporanea presso l’Universitat Autònoma de Barcelona che abbiamo incontrato al festival Encuentro Perugia di cui Left è partner.

“Il significato è prima di tutto simbolico. La Spagna si aggiunge ad altri 140 Paesi che avevano già riconosciuto lo Stato Palestinese. C’è una crescente sensibilità al riguardo”, dice l’autore del libro Extrema derecha 2.0. “Per quanto riguarda la Spagna – spiega – i sondaggi dicono che l’80 per cento della popolazione difende la causa palestinese. Ora non sono più solo parole, ma c’è una presa di posizione politica concreta grazie al governo Sánchez”.

Ada Colau, alla quale hai dedicato un libro con Giacomo Russo Spena, dice che non basta, che servirebbero anche sanzioni e misure più drastiche. Da sindaca di Barcellona fu la prima a sospendere le relazioni con lo Stato di Israele. In attesa di incontrarla il 2 giugno a Castiglion del Lago, quale è la tua opinione?

Coraggiosamente da sindaca di Barcellona decise di rompere con Tel Aviv proprio per aprire il dibattito pubblico sulla situazione palestinese. La questione come sappiamo non nasce dopo il 7 ottobre ma si è radicalizzata da quando Netanyahu è al governo. E in modo particolare da un anno e mezzo a questa parte, dacché alla guida di Israele c’è l’estrema destra del Likud di Netanyahu in alleanza con Ben Gvir e Smotrich che hanno posizioni neofasciste e integraliste religiose. All’epoca Colau fu osteggiata dall’establishment, anche di centro. Adesso la situazione è cambiata quello che stiamo vedendo a Gaza e in Cisgiordania negli ultimi sette mesi ha mobilitato l’opinione pubblica.

Sànchez avrebbe potuto ritirare l’ambasciatore a Tel Aviv, come ha fatto riguardo all’Argentina in risposta agli attacchi di Milei?

Sì è un a giusta critica, ma non dobbiamo dimenticare che nel contesto internazionale la presa di posizione di Pedro Sánchez per la Palestina è quasi un unicum fra i Paesi occidentali. A fine novembre come presidente del semestre europeo fece dichiarazioni importanti da Rafah condannando l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, ma allo stesso tempo condannando duramente l’attacco israeliano alla popolazione civile di Gaza, il blocco degli aiuti umanitari e in difesa dei diritti umani. Più di altri ha mantenuto una posizione coerente e ha alzato la voce, in un contesto internazionale segnato dall’avanzata della estrema destra, dopo quasi due anni e mezzo di guerra in Ucraina, dopo il rafforzamento della Nato, mentre un discorso militarista avanza, insomma cercherei di bilanciare queste critiche.

Quale è lo stato di salute del governo del premier socialista, che per quando non navighi in ottime acque, ha incassato l’affermazione dei socialisti in Catalogna e l’approvazione della discussa legge di amnistia?

Si sapeva che questa legislatura non sarebbe stata facile, per quanto Sànchez sia riuscito nella remontada l’anno scorso ci è voluto un grande lavoro di uncinetto per mettere insieme un governo di maggioranza. E il governo comunque è più debole rispetto a quello della precedente legislatura con Podemos, perché ha bisogno di tutti i voti delle altre forze (eccetto Popolari e Vox) nelle cortes di Madrid, deve anche tener conto anche del partito di Puigdemont con la tensione catalana che sempre complica le cose. L’approvazione della legge di amnistia è stata oggetto di una grande campagna di opposizione delle destre, che paradossalmente però ha anche dato l’occasione a Sànchez per uscire dall’angolo, recuperare iniziativa politica dopo la crisi di quei 5 giorni di fine aprile in cui aveva scritto una lettera alla cittadinanza condannando la macchina del fango contro di lui e la sua famiglia da parte delle destre e prospettando dimissioni.

Qualcuno dice ironicamente che Vox involontariamente stia favorendo la campagna di Sànchez…

Le accuse diel presidente argentino Milei alla festa di Vox ( a cui ha partecipato anche Meloni ndr) hanno mobilitato l’elettorato progressista di fronte alla minaccia della estrema destra. Mi torna in mente il libro che Sànchez scrisse qualche anno fa, Manuale di resistenza. E’ una sua caratteristica: anche nei momenti di maggiore difficoltà, quando sembra che non ci sia nulla da fare, riesce a recuperare con un colpo di reni. Ci riuscì nel 2017 dopo essere stato defenestrato dal partito socialista, recuperando dal basso. E poi l’anno dopo con la mozione di sfiducia a Rajoy, fino a formare il governo con Podemos. Poi però c’è stata la pandemia, e di nuovo la sfida dell’anno scorso.

Che ne è della stagione di grandi conquiste sul lavoro per i diritti delle donne che si registrò quando Psoe e Podemos governavano insieme?

Il governo Sànchez cerca di seguire quella linea. Ma per approvare le leggi si deve sempre confrontare con il centrodestra, se la deve vedere con i nazionalisti baschi e con quello di Pudgemont che non sono partiti di sinistra. I socialisti in questo momento sono nel mezzo, da una parte ci sono Sumar (membro del governo) e Podemos (fuori dal governo) dall’altra ci sono partiti alleati del governo che cercano di fermare prospettive di sinistra. Detto questo, se guardiamo in Europa, l’attuale governo spagnolo è l’unico di sinistra, ma con queste debolezze che rendono più difficile una agenda progressista marcata o radicale.

Alle prossime europee si registra una frammentazione della sinistra spagnola, cosa possiamo immaginare?

Le destre sembravano avere il vento in poppa e sembrava che stravincessero. Era la grande scommessa di Feijóo. Nei fatti Vox manterrà più o meno i suoi voti, dimostrerà di aver consolidato un suo certo blocco sociale e un suo elettorato fra l’8 e il 12 per cento, i popolari recuperano rispetto agli anni scorsi ma non riescono né a eliminare Vox che rimane come un competitor sull’estrema destra ma sembrerebbe rispetto alle previsioni di qualche mese fa che la loro avanzata sia molto più ridotta, che sia addirittura un testa a testa con i socialisti alle europee. A sinistra la situazione è molto diversa da un decennio fa quando si parlava della Spagna come un modello di sinistra alternativa, radicale, oggi è molto più debole di prima, molte cose non hanno funzionato nel processo di rifondazione di Unidas podemos avviato tra il 21 e il 22 dopo che Pablo Iglesias ha lasciato tutte le cariche nel partito.

Nel frattempo Yolanda Diaz ha lanciato Sumar

Sì ma si è sommato male. La rottura fra Pablo Iglesias e Jolanda Diaz avvenuta dopo le elezioni scorsi  ha portato alla formazione di due gruppi parlamentari diversi e si presentano alle elezioni europee con due liste separate. Se ognuno va per la propria strada a sinistra ci si perde sempre. Specie in un contesto come questo che non è quello di 10 anni fa di Syriza, delle proteste sociali, siamo in un altro ciclo politico. Vedremo i risultati elettorali, stando ai sondaggi potrebbe essere che Podemos abbia 2 seggi e Sumar 4. Sommati sarebbero i sei 6 seggi del 2019, è vero, ma l’immagine che ne esce è di divisione. Se Sumar va male io non so che futuro ci possa essere per questa formazione dopo il 9 giugno, perché Sumar non è ancora consolidato sul territorio. E’ un’insieme di realtà locali, come Mas Madris, il movimento Comuns di Colau, Isquierda Unida, che ha cambiato la dirigenza da poco, è molto critica con Yolanda Diaz per come sono state gestite le cose, per come sono state composte le liste. Se Sumar va male potrebbe non esistere più nel futuro. Se Podemos va bene, o se c’è un pareggio fra i due, si cercherà di nuovo di riparlare e di rimettersi insieme, ma i ponti in alcuni casi sono stati distrutti quasi del tutto fra Iglesias e gli ex alleati. Tutto questo può avere anche delle ricadute sulla stabilità stessa del governo.

L’appuntamento: Il 2 giugno a Encuentro dalle 17,30 Left coordina due incontri: sulla Palestina con la scrittrice Suad Amiry e con Raffaele Oriani e e seguire intervista alla ex sindaca di Barcellona Ada Colau

 

In apertura Pedro Sanchez e la moglie Begoña Gómez, foto di i Carlos Delgado – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=66242204