Conoscere la vita e l’opera del deputato socialista, assassinato dai sicari di Mussolini il 10 giugno 1924, oggi costituisce un vero antidoto contro il revisionismo, impedendo la riscrittura falsa e strumentale del fascismo
Il centenario dell’assassinio di Giacomo Matteotti può rappresentare una straordinaria opportunità non soltanto per contribuire a diffondere una corretta memoria del suo agire politico e delle sue idee, a lungo oscurate, ma anche per immettere nel dibattito pubblico una corretta riflessione sulla reale natura del fascismo. L’intera esistenza di Matteotti e non solo la sua tragica fine, infatti, sono l’inequivocabile e oggettiva testimonianza che non vi fu, come si tenta di far credere da un crescente revisionismo di stampo nostalgico, una dittatura edulcorata, un “Mussolini buono”, fino alla promulgazione delle leggi razziali nel 1938 e poi un “Mussolini cattivo” a causa delle deleterie amicizie con Hitler, con la conseguente disastrosa entrata in guerra dell’Italia nel 1940. Proprio l’intero agire politico e le vicissitudini umane di Matteotti e non solo il rapimento e l’uccisione a opera di sicari fascisti il 10 giugno 1924, dimostrano come la violenza sistematica, la sopraffazione dell’avversario e la feroce negazione del diritto al dissenso, il disprezzo per la democrazia parlamentare e per lo stesso valore della vita, siano state parte fondante e identitaria del fascismo fin dalla costituzione dei Fasci di combattimento, nel marzo 1919. In estrema sintesi, quindi, non ci furono fasi distinte nel ventennio mussoliniano, ma un unico disegno unitario alimentato da una visione culturale e politica caratterizzata dalla violenza retta a sistema, dalla negazione del valore della democrazia e dal razzismo, che l’Italia esportò in molte parti del mondo. Questo rende ancor più gravi l’omissione e il balbettio sul tema di alcune delle più alte cariche dello Stato (presidente del Consiglio e del Senato) in occasione del 25 aprile, anniversario della Liberazione dal nazifascismo. È evidente che la destra di governo fatichi o forse più correttamente non abbia alcuna intenzione di fare i conti fino in fondo con la dittatura fascista e con la figura di Mussolini, arretrando significativamente anche rispetto alla svolta di Fiuggi nel gennaio 1995 che portò allo scioglimento del Movimento sociale italiano e alla nascita di Alleanza nazionale. Nel 2003, in visita al museo dell’Olocausto di Gerusalemme, Gianfranco Fini, pronunciò parole inequivocabili, definendo il fascismo «epoca del male assoluto». Il permanere della Fiamma tricolore nel simbolo di Fratelli d’Italia (fondato nel 2012) rappresenta, invece, un’orgogliosa rivendicazione di continuità con la storia del neofascismo e con la costituzione, nel dicembre 1946, del Msi, un soggetto politico che si richiamava esplicitamente all’esperienza della Repubblica sociale italiana e quindi al lascito morale e politico di Mussolini. La fiaccola che appariva sul simbolo del ’46 e ardeva su di un trapezio sottostante, secondo diverse ricostruzioni, altro non era che un chiaro riferimento alla tomba del dittatore ucciso l’anno prima. Nell’Italia di oggi, quindi, una rilettura del pensiero di Matteotti appare di straordinaria attualità per evitare che passi una riscrittura falsa e strumentale della storia del fascismo.

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