In Italia la mobilitazione delle acampade universitarie e degli studenti delle superiori chiede il cessate il fuoco a Gaza, lo stop della ricerca con fini anche militari, una istruzione non finalizzata al lavoro. Parlano i rappresentanti di Rete della conoscenza, Uds, Link, Rete degli studenti medi
Criminalizzati, non rappresentati, «invisibilizzati», oltre che picchiati con i manganelli e mandati al Pronto soccorso. Sono gli studenti che dopo il 7 ottobre sono scesi in strada per protestare contro il massacro di civili perpetrato dall’esercito di Tel Aviv a Gaza dopo l’attacco terroristico di Hamas in Israele. Un migliaio di manifestazioni - spontanee, diffuse, sempre molto partecipate - si sono susseguite in Italia negli ultimi mesi: lo aveva dichiarato a febbraio anche il ministro dell’Interno Piantedosi, subito dopo i fatti di Pisa dove decine di minorenni erano stati pestati dagli agenti in tenuta antisommossa, sollevando anche lo sdegno del presidente Mattarella. Un’altra carica violenta si è ripetuta il 10 maggio durante un corteo di giovani femministe che contestavano gli Stati generali della natalità a Roma. Gli accampamenti di tende (le acampade) intanto hanno popolato cortili, chiostri, giardini dei principali atenei italiani: a Milano, Roma, Bologna, Napoli, Torino e in molte altre sedi universitarie. Ma non è solo la crisi umanitaria che il governo israeliano sta determinando in Palestina a muovere la protesta che è indirizzata in particolare contro i rischi della ricerca utilizzata per scopi militari, le tecnologie dual use. Il dissenso che si respira a macchia di leopardo da tempo nelle scuole e nelle università è fatto di tanti elementi. C’è un rifiuto complessivo della politica di questo governo, evidenziato già subito dopo le elezioni del 25 settembre (v. Left 1/2023) e maturato via via a causa delle scelte del ministro dell’Istruzione e del merito Valditara. Quanto all’università, le tende erano già apparse nel corso del 2023 sia per protesta contro il caro affitti sia nell’ambito della mobilitazione internazionale End fossil, che chiede lo stop agli accordi tra atenei e aziende produttrici di combustibili fossili. Ma stavolta la protesta ha assunto degli aspetti particolari. «Intersezionale»: questo aggettivo, raccontano i rappresentanti degli studenti, spiega molto bene la mobilitazione in corso. «C’è molta rabbia all’interno degli atenei italiani e c’è molta voglia di attivarsi da parte degli studenti perché le università non siano uno strumento per alimentare il genocidio in Palestina ma perché siano luoghi di sapere per l’emancipazione e la conoscenza e non mirino a produrre armi o comunque a produrre profitto sui corpi di altre persone», dice Arianna D’Archivio del coordinamento universitario di Link che nel mese di maggio è venuta in contatto con diverse realtà universitarie. «Noi abbiamo bisogno di essere ascoltati - continua - e ora ci riprendiamo la possibilità di essere ascoltati proprio perché abbiamo una visione sistemica di università diversa».

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