Dagli anni della militanza nel Polesine agli ultimi giorni della sua vita, Matteotti si è sempre impegnato per l’istruzione delle classi popolari. Denunciando la fascistizzazione della scuola, a partire dalla politica gentiliana, classista e piegata ai dettami del regime e della Chiesa
«Ogni scuola che si apre è la porta di un carcere che si chiude » Il pur strenuo e intransigente antifascismo non basta a contenere tutto il Matteotti politico. C’è - dietro e prima del suo barbaro assassinio - tutta una storia di militanza e di impegno che viene da lontano, da quel lembo di Meridione povero e arretrato incastonato nella Val Padana che si chiama Polesine, terra di paludi, di lotte contadine e di analfabetismo. Nel motto «Ogni scuola che si apre è la porta di un carcere che si chiude», che Giacomo Matteotti nel 1919 aveva voluto inserire nella testata dell’organo dei socialisti polesani La Lotta, c’è molto. Quelle parole sintetizzano con efficacia solidarismo sociale, idealismo umanitario, impegno civile e fede politica: in quella vigorosa espressione, si legge la sicura fede del socialismo delle origini nel riscatto delle classi oppresse attraverso un processo di emancipazione che non poteva essere soltanto economico ma piuttosto poteva e doveva passare attraverso la formazione alla coscienza di sé (e di classe), l’istruzione, la cultura. Merita ricordare un’altra celebra frase: «Pane e alfabeto, ecco dunque un motto d’ordine da non dimenticare. All’opera dunque!»: pur segnato da una vena retorica ridondante e un poco naive, questo era l’appello degli intellettuali socialisti apparso su Critica sociale nel 1902, che dava conto con rara efficacia del vivo interesse manifestato già a cavallo del secolo dalla sinistra italiana per il tema dell’istruzione intesa quale strumento primario di promozione sociale e politica. È in questo contesto che, sin dall’esordio della sua militanza politica come giovane amministratore locale nel Polesine, Giacomo Matteotti si impegna a fondo sulla necessità di abbattere l’analfabetismo che ancora ai primi del Novecento costituisce una piaga nazionale e che nel suo Polesine si aggira intorno al 43%. Da subito di adopera, dunque, per potenziare le scuole periferiche e si interessa in primo luogo della scuola materna e dei Patronati scolastici, mettendo in ciò in gioco anche risorse personali. Pur senza aver lasciato un corpus organico di scritti che testimoniasse di una sua compiuta filosofia della scuola, Giacomo Matteotti, da sempre convinto dell’essenziale valore di progresso civile e di elevazione umana rappresentato dall’istruzione, sente costantemente il problema della formazione come un fatto di giustizia sociale di immediata valenza politica.

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