L’ultradestra aumenta di peso politico più che di peso parlamentare
La composizione del nuovo Parlamento europeo ricalcherà grossomodo quella uscente. Tanto rumore per nulla? Non proprio. Perché non conta solo quanti voti e seggi prendi, ma anche dove e come.
L’ultradestra è la prima forza in due Paesi chiave come Francia e Italia, intorno al 30% dei voti validi (intorno al 40% se sommiamo i voti di Zemmour e della Lega). In Germania i quasi-nazisti di AfD, ritenuti eccessivi addirittura da Le Pen e da Salvini-X MAS Vannacci, sono il secondo partito, il primo in tutta la vecchia Germania orientale.
Osservando i più grandi Stati Ue, in 3 su 4 perdono i partiti al governo. L’unico che tiene – perdendo rispetto alle ultime politiche in voti assoluti, ma guadagnando in termini percentuali – è l’ultradestra di Fratelli d’Italia guidata da Giorgia Meloni. In Francia crollano i liberal-bellicisti di Macron, in Germania i social-bellicisti di Scholz, in Spagna tiene il Psoe di Sànchez (che già alle politiche di luglio 2023 era dietro ai popolari), sebbene aumenti leggermente il distacco dalla destra tradizionale del PP.
Insomma, l’ultradestra avanza nei Paesi chiave dell’Ue e accresce il proprio peso politico-ideologico prima ancora che quello parlamentare.
Il problema non sono solo Le Pen, Meloni e Afd, ma lo spostamento a destra di tutto l’asse politico europeo
Per valutare il successo dell’ultradestra vanno pesati non solo i voti e i seggi, ma anche – e soprattutto – lo spostamento dell’intero quadro politico europeo.
Oggi le destre tradizionali sono spesso indistinguibili dai cugini “più estremi”. Assistiamo a una continua “normalizzazione” dell’ultradestra, allo sdoganamento di idee e slogan.
«Prima gli italiani», «blocco navale», «difesa dei confini», «lotta ai parassiti», erano parte dell’armamentario ideologico di formazioni suprematiste e fasciste; oggi sono invece patrimonio comune a buona parte delle restanti forze politiche.
Destre tradizionali, liberali, verdi e socialdemocratici inseguono l’ultradestra sul suo terreno. E tra la copia e l’originale alla lunga vince sempre l’originale.
L’Italia è laboratorio politico continentale
Altro che retroguardia. L’Italia è oggi laboratorio politico a scala continentale. Il modello è quello di un’ultradestra perfettamente integrabile e integrata nei meccanismi di potere perché, come ha ammesso il presidente del Consiglio europeo, il liberal-bellicista Charles Michel: «c’erano dubbi e preoccupazioni…poi abbiamo visto che era possibile lavorare con i governi anche se nella coalizione c’era un partito di estrema destra», perché «la cosa che conta davvero sono le politiche, la sostanza».
L’ultradestra può tranquillamente governare purché rispetti due vincoli: subalternità assoluta alla Nato e politiche contro lavoratori e lavoratrici.
Su questa base il laboratorio italiano offre lezioni anche a Marine Le Pen che, infatti, da mesi è impegnata nel difficoltoso traghettamento del suo Rassemblement National su posizioni che le permettano di guadagnare il nulla osta a governare il secondo Paese Ue.
Per le classi dominanti la scelta non è fascismo sì o fascismo no, ma fascismo pro-Nato sì, fascismo anti-Nato no. La condizione essenziale per accettazione/marginalizzazione non è l’esser fascisti, ma l’esser filoNato e liberisti.
Il principale cleavage politico è oggi pace vs guerra
Il principale cleavage (linea di faglia) è pace vs. guerra, anche se non necessariamente questo si traduce in una linea di faglia elettorale.
La cornice è quella di un avanzamento verso un regime di guerra. All’esterno invio di armi all’Ucraina e sostegno al genocidio a Gaza per mano di quell’altro Occidente che è Israele (ma anche missione Aspides nel Mar Rosso, guerra a bassa intensità contro la Cina e silenzio su Congo, Sudan, Sahel, ecc.). All’interno è preminenza della spesa militare a danno di quella sociale, con tanto di conversione di produzione civile in produzione bellica, nonché riduzione degli spazi di democrazia e di dissenso.
A pochi giorni dalle elezioni tanto Von der Leyen quanto Borrell si sono fatti intervistare in scenari bellici: in un bunker antiaereo finlandese la leader “popolare”; circondato da carriarmati il leader “socialista”. Immagini con cui vogliono indicarci il futuro che ci attende.
Il nuovo-vecchio Parlamento europeo mantiene un’ampia maggioranza favorevole a questo tipo di regime: troviamo insieme popolari, socialisti, verdi, liberali e anche pezzi dell’ultradestra, a partire da FdI di Meloni.
Per dirla con Joseph Borrell, il “ministro” degli Esteri Ue, c’è un ampio consenso politico sulla necessità di difendere il “giardino europeo” dalla “giungla” che lo circonda.
L’ultradestra oggi: dal regime reazionario di massa al regime di passivizzazione di massa
Se Togliatti definiva il fascismo come «regime reazionario di massa», la situazione attuale sembra più quella di un “regime di passivizzazione di massa”.
Non si regge su “adunate” e organizzazione e mobilitazione costante di ampi settori della società, come avvenne nel Ventennio mussoliniano; bensì sulla “passivizzazione” delle masse e si manifesta come disillusione, rassegnazione, disimpegno, tutti “sentimenti” apparentemente basati sul senso comune del “tanto non cambia niente”.
Il laboratorio italiano può offrire spunti interessanti. Queste elezioni restituiscono un dato storico: per la prima volta in Italia la maggioranza assoluta a un’elezione nazionale è degli astensionisti. Il tasso di affluenza si è fermato al 49,6% degli aventi diritto. La diminuzione della partecipazione elettorale è un trend che avanza da decenni e che è indice di una più complessiva diminuzione della partecipazione politica. Urne vuote non significa, purtroppo, piazze piene.
Se di fronte abbiamo “regimi di passivizzazione di massa” la risposta messa in campo da La France Insoumise dopo la vittoria di Marine Le Pen – la convocazione di manifestazioni di piazza che affianchino il percorso verso le elezioni legislative anticipate del 30 giugno – è il percorso da e su cui costruire.
In Italia si rafforza il bipolarismo filo-Nato e liberista
In Italia, come al solito, esultano quasi tutti. A eccezione di Carlo Calenda e Matteo Renzi, i cui risultati dimostrano che il “Terzo polo” vive in Tv e nella redazione de Il Foglio, ma non esiste nella vita reale, tutti cantano vittoria.
I risultati sono lo specchio di una stabilizzazione di FdI, di un rafforzamento dell’ala “moderata” delle destre – Forza Italia – e di una difficoltà di una Lega sempre più spostata alla destra di Meloni e che rischia fratture dovute alle contraddizioni interne tra i diversi mondi rappresentati dagli Zaia e dai Vannacci.
Nelle opposizioni, alla crescita del Pd e al successo di Avs – e qui arriva la buona notizia dell’elezione dell’antifascista Ilaria Salis (di cui sono contento, abbiamo contribuito come Potere al Popolo) – fa da contraltrare il crollo del M5s, al 9,99%.
Si rafforza, nel complesso, il bipolarismo filo-Nato e liberista, con due partiti guida che sono i partiti più saldamente bellicisti e filo-Nato.
All’interno di questi due campi non c’è alternativa di sistema possibile. Il rischio è la continuazione del circolo vizioso per cui l’insoddisfazione da parte delle classi popolari per l’operato di governi di centro-sinistra porta alla crescita e poi alla vittoria di partiti sempre più a destra che poi, alla prova del nove deludono anch’essi e si torna al punto di partenza, ma con un quadro politico che ogni volta è più spostato a destra.
La poli-crisi morderà ancora e il bipolarismo filo-Nato e liberista non ha soluzioni
Le elezioni non si porteranno via le manifestazioni della crisi economica e sociale, di quella bellica o di quella climatica.
Il bipolarismo filo-Nato e liberista non ha soluzioni da offrire. Il 2025 potrebbe aprirsi con nuove politiche di austerità, dovute anche all’entrata in vigore del nuovo Patto di stabilità che per un Paese come l’Italia significherà 13 nuovi miliardi di tagli all’anno per 7 anni.
Se teniamo in conto che i soldi per le armi li faranno comunque uscir fuori, si prospetta una macelleria sociale e ambientale.
Che significa in termini di prospettiva politica?
Le elezioni segnano un passaggio importante, perché aiutano ad avere una fotografia dei consensi che si registrano nelle nostre società, ma il tempo elettorale non è il tempo della politica.
La temporalità della trasformazione non è quella delle campagne elettorali né tantomeno delle giornate ai seggi. Inseguire l’“immediatismo” può produrre qualche influencer, ma non cambiamenti profondi.
Per combattere l’ultradestra occorre battersi contro ogni tentativo di sua “normalizzazione” operata da settori conservatori, liberali, socialdemocratici. Abbiamo cioè di fronte una battaglia delle idee in cui non bisogna arretrare di un cm: in Palestina non c’è una guerra, ma un genocidio; il diritto al dissenso è sale della democrazia; contestare non è “censurare”; i/le migranti non sono un problema, ma alleati perché lavoratori e lavoratrici in questo Paese. E così via.
Nell’immediato serve contrastare il regime di guerra. Lo si fa non tanto con slogan e l’invocazione di trattative e negoziati, che rischia di rimanere una sorta di gemito di disperazione, ma intervendo sulle sue manifestazioni concrete.
Se più guerra significa meno democrazia (il dissenso è ammesso in tempi di pace, in guerra sei traditore e quinta colonna del nemico), bisogna mettersi alla testa delle battaglie democratiche, per contrastare il restringimento degli spazi di libertà. Lo si fa praticando il diritto al dissenso, non semplicemente rivendicandolo a parole. Da questo punto di vista è preoccupante l’unanimità della condanna delle contestazioni universitarie a sostenitori del genocidio a Gaza, che è andata da Mattarella a Fratoianni.
Se più guerra significa meno salari, va declinato lo slogan “giù le armi, su i salari!”. Non solo i salari diretti (con la centralità della campagna per un salario minimo di 10€ l’ora), ma anche quello indiretto. Perché ogni euro in più per armi e munizioni è un euro in meno per ospedali, scuole, cultura, sport.
Nella temporalità di lungo periodo necessaria alla trasformazione politica gioca un ruolo chiave l’organizzazione, la capacità di essere radicati nelle classi popolari, la costruzione di solidarietà e la tessitura quotidiana di legami laddove regna una frammentazione che è sociale prima ancora che politica. Presenza, costanza e lavoro quotidiano sono fattori chiave per una forza che sia credibile. Certo, non basta. Serve l’incursione in spazi – anche comunicativi – di massa, perché se non esisti non sei credibile. Organizzazione e comunicazione se viaggiano disgiunti portano a vicoli ciechi che inibiscono la trasformazione sociale.
L’autore: Giuliano Granato è portavoce di Potere al popolo!
Nella foto: la presidente del Consiglio Giorgia Meloni al Consiglio europeo, 21 marzo 2024 (governo.it)