È difficile comprendere cosa abbia spinto Macron a sciogliere l’assemblea e a indire elezioni anticipate sull’onda dell’affermazione della Le Pen alle elezioni europee. Intendeva spezzare il fronte delle sinistre e finire di distruggere le forze della destra tradizionale, proponendo per l’ennesima volta sé stesso come argine alla destra estrema? Vuole consegnare il governo al Rassemblement National per dimostrare ai francesi che non è in grado di governare e scongiurare così la vittoria della Le Pen alle prossime elezioni presidenziali? Oppure è stato un colpo di testa di un personaggio privo di capacità politiche e di un partito con cui consultarsi?
Altrettanto difficile è comprendere cosa abbia spinto Enrico Letta a consegnare il governo del paese a Giorgia Meloni. Sì, perché la scelta di perdere è stata sua. Il mandato di Letta come segretario del Pd – dopo le dimissioni di Zingaretti e senza il passaggio delle primarie – è si è svolto in parallelo a quello di Draghi alla presidenza del consiglio. Nella tornata elettorale del 2022 Letta ha poi scelto di non cercare l’accordo con il Movimento 5 Stelle perché Conte avrebbe provocato la caduta del governo Draghi, aprendo però all’alleanza con Sinistra italiana che, giustamente, quel governo non aveva mai sostenuto. Strana dissociazione: no all’accordo, con una forza politica con cui il Pd aveva governato dal settembre 2019 all’ottobre del 2022, anni segnati peraltro dai terribili frangenti della pandemia, sì all’alleanza con un partito che al governo Draghi si era coerentemente opposto. Queste scelte non possono essere derubricate a errori di valutazione.
L’affermazione della Meloni, viste le scelte del Pd, era inevitabile. È legittimo fare qualche ipotesi: Macron e Letta, pur avendo alle spalle percorsi ben diversi, sono espressione di quegli ambienti neoliberalisti che dominano l’Europa da decenni. Macron prima di entrare in politica lavorava in una banca di investimento dei Rothschild, per la quale, in particolare, portò a temine un’importante trattativa tra la Nestlé e la Pfizer con cui è diventato milionario. Pur presentandosi con le vesti del nuovo, Macron è espressione di quel sistema neoliberale, dominato dai grandi gruppi finanziari, che versa in gravi difficoltà. Il suo progetto era chiaro: la Francia avrebbe dovuto superare quella contrapposizione tra destra e sinistra che ostacolava la realizzazione di alcune riforme neoliberali, in particolare la riforma delle pensioni, del mercato del lavoro e la riduzione delle tasse per i più ricchi. Quel progetto, portato avanti da Macron con determinazione, ha alimentato la protesta sociale e gettato il Paese nell’instabilità politica.
In Italia, con la nomina di Letta alla segreteria del Pd, il sistema dei partiti che sosteneva l’ordine neoliberale era già in fase terminale. Per dar vita al governo Draghi, fortemente voluto da Letta e dal Quirinale, fu infatti necessario l’apporto di quasi tutte le forze politiche. Letta ha portato a compimento la liquidazione del Movimento 5 Stelle – liquidazione che è stata la cifra della passata legislatura -, ha sostenuto Draghi, e infine, assieme a quest’ultimo, ha consegnato il paese ai neofascisti della Meloni. Piuttosto che avere circa un terzo dei consensi per il Movimento 5 Stelle, come fu nella passata legislatura, ora lo abbiamo per la Meloni. Perché?
Il filo conduttore delle vicende che hanno consegnato l’Italia, e che rischiano di consegnare la Francia, a due forze politiche che hanno le loro radici nel fascismo, va ricercato nella profondissima crisi in cui versa l’ordine neoliberale, crisi che ha evidenti ripercussioni sulla stabilità politica, non solo di Italia e Francia, ma di molti altri paesi occidentali. L’ipotesi da considerare è che questa crisi, in Italia e Francia, possa generare una saldatura tra l’estrema destra e alcuni centri di potere neoliberali. Impressionante è peraltro il parallelismo tra l’opera di delegittimazione, e talvolta di vero e proprio linciaggio, operata da parte dei grandi media contro il Movimento 5 Stelle, e quella che subiscono quotidianamente, da anni, Mélenchon e La France Insoumise.
L’alleanza tra fascismo e potere economico e finanziario non sarebbe certo una novità. Come ci insegna la storia degli anni Venti e Trenta del secolo scorso, infatti, il fascismo non nacque solo grazie alle violenze esercitate da bande di delinquenti che bruciavano le case del popolo, picchiavano gli oppositori ed eliminavano ogni dissenso, ma ha usufruito anche dell’appoggio di intellettuali come Pareto, Einaudi, Croce – che fino all’assassinio di Matteotti appoggiò Mussolini -, degli agrari, della grande industria e della Casa Savoia. In Germania Hitler ha ricevuto ingenti finanziamenti da colossi industriali come la I. G. Farben, la A. E. G. (German General Electric), la Ford e tante altre società, anche statunitensi, che vedevano compromessi i propri affari dal caos in cui era precipitato il paese dopo la guerra e la crisi del 1929. L’obiettivo dell’industria e della finanza è salvaguardare gli affari, e quando questo obiettivo è messo a repentaglio dall’instabilità politica e dalla protesta sociale, la loro è una scelta obbligata: non si lascia spazio a forze radicate nella società, piuttosto si punta su chi promette di ristabilire l’ordine e la disciplina e che al proprio interno riproduce la gerarchia dittatoriale che impone alla società. Per essi l’esercizio delle libertà politiche, i percorsi, i tempi e i compromessi della democrazia non sono valori fondanti che possano ostacolare il perseguimento del massimo profitto. Per questo una vera democrazia non può funzionare in presenza di poteri economici più forti dei governi, conflitti di interessi, porte girevoli e globalizzazione economica e finanziaria.
È chiaro che una cura della crisi che veda l’esercizio del potere politico da parte dell’estrema destra è peggio della malattia. Superfluo ricordare i disastri provocati dall’ascesa in Europa di fascismo, nazismo e nazionalismo. Pur essendo utile uno sguardo alle composizioni sociali che hanno portato alle peggiori tragedie europee, non possiamo prevedere quali sviluppi si avranno in Italia e in Francia nel prossimo futuro. La Meloni ha offerto garanzie e, a differenza di quel che tende a fare Salvini, ha scelto di mantenere un basso profilo nel conflitto che in Europa vede il suo gruppo di appartenenza, i conservatori, contrapposto alla maggioranza costituita da liberali, socialisti-democratici e popolari.
Marine Le Pen, nello sforzo di giungere al governo del Paese, cerca di differenziarsi da quelle forze più apertamente razziste e xenofobe, come Reconquête, il partito di Zemmour. Ma come potrà cambiare il quadro ove quell’estrema destra che affonda le sue radici nel fascismo dovesse trovarsi saldamente al governo sia in Italia sia in Francia? E se a novembre Donald Trump dovesse sconfiggere Biden, che ripercussioni si avrebbero in Europa?
Osserviamo in grandi linee l’evoluzione politica che si è registrata in Italia e Francia. Il sistema neoliberale era garantito da due poli (destra e sinistra) che si alternavano al potere aderendo nella sostanza allo stesso modello economico. Dopo il crollo finanziario del 2008 e la crisi del debito europeo del 2010, da un lato l’ordine neoliberale richiedeva riforme più radicali per sostenersi, dall’altro, a causa delle proteste sociali, questi due raggruppamenti sono stati sempre più incalzati da forze che in vario modo tentavano di interpretare un malcontento sempre più diffuso. Oggi la destra e la sinistra tradizionali, neanche alleandosi tra loro sono in grado di raggiungere la maggioranza dei consensi.
In Italia la sinistra da tempo si è fatta garante del neoliberismo, uscendone a pezzi, mentre Macron ha tentato di sfruttare l’avversione dei francesi verso il partito della Le Pen per portare avanti la riforma neoliberale della società, che ancora non aveva agito con sufficiente radicalità. Ormai però, tra pandemia, guerre, trasformazioni digitali e ingiustificati arricchimenti, il progetto neoliberale sta perdendo la sua capacità egemonica. L’ipotesi da tenere in conto è che, col diffondersi del malcontento, i termini dello scontro si vadano modificando: non più tra i cosiddetti populisti e i tecnocrati neoliberali alleati a spezzoni delle vecchie forze politiche, ma tra chi, con enormi difficoltà, vuole affrontare il tema del superamento dell’ordine neoliberale, e quei tecnocrati che vogliono salvarlo cercando l’alleanza con i neofascisti. La battaglia che si sta svolgendo in Francia sarà decisiva per tutti noi.
L’autore: Già docente di economia politica, Andrea ventura è autore di numerosi saggi, fra i quali Il flagello del neoliberismo (L’Asino d’oro edizioni)