Fino al 7 luglio al Museo di Roma in Trastevere si può conoscere più da vicino l'opera di questa coraggiosa artista spagnola che amava sperimentare con i colori sgargianti (come Almodovar con cui collaborò) e dipingeva a mano le fotografie

Una movida Bárbara, la mostra di Ouka Leele che si può vedere al Museo di Roma in Trastevere fino al 7 luglio rappresenta un’occasione unica per conoscere la figura di questa artista spagnola scomparsa di recente, nel 1922, all’età di 64 anni, ancora poco nota in Italia, che ha esplorato nella sua creazione artistica diversi campi (tra l’altro è autrice di una decina di raccolte di poesia), la cui fama è legata soprattutto ad alcune fotografie da lei ritoccate col pennello e che successivamente sono diventate iconiche. Il riferimento del titolo alla movida è dovuto al legame dell’artista con quell’esplosione di creatività che ebbe come epicentro Madrid nei primi anni Ottanta documentata anche nelle prime pellicole di Pedro Amodóvar; l’iconico acceso cromatismo di alcune pellicole del regista manchego ricorda quello di alcune fotografie della nostra, che ebbe modo di collaborare con lui per il film Laberinto de Pasiones (l’artista disegnò i cappelli). Invece Bárbara è il suo vero nome (ma anche un aggettivo di uso comune in spagnolo (che nel gergo ha assunto il significato di smisurato, straordinario, favoloso, magnifico ecc.).

Floraleza, di Ouka Leele

Al secolo Bárbara Allende Gil de Biedma nasce nel 1957 in una famiglia di antica ascendenza aristocratica appartenente all’alta borghesia. Suo zio è il poeta Jaime Gil de Biedma, uno dei protagonisti della “Scuola di Barcellona” (che fu il principale centro della poesia spagnola tra la fine degli anni Cinquanta e il decennio successivo), il padre un architetto.
La passione per il disegno e per l’arte si manifesta già da bambina (frequenta spesso il Museo del Prado per ammirare le tele del suo amato El Greco). Si iscrive all’Accademia de Bellas Artes di Madrid, ma i suoi interessi e i suoi primi lavori sono legati al mondo dei fumetti.
La svolta avvenne nel 1976, quando si avvicina al mondo della fotografia e si iscrive al Photocentro, una avanguardistica scuola di fotografia fondata appena un anno prima a Madrid. Al 1976 risale anche la sua prima foto pubblicata, che uscì nel volume antologico Principio, 9 jóvenes fotógrafos españoles. Nel 1978 si trasferisce a Barcellona, dove l’anno successivo realizza Peluquería (“parrucchiere”), una serie di fotografie nelle quali cominciò a sperimentare il ritocco delle immagini col pennello e che fu esposto a Barcellona e Madrid.
Negli scatti di questa serie, successivamente diventati iconici, ironizzando sulla tradizione spagnola della peineta (il pettine per le acconciature femminili che si usa mettere tra i capelli nei giorni di festa), ritraeva amici con improbabili oggetti di uso domestico in testa. L’aggiunta di colori a mano sulla stampa in bianco e nero ne metteva ancora più in risalto l’aspetto “irreale”, che venne subito messo in relazione dalla critica al surrealismo e alla pop-art.
«Senza rendermene conto, scoprì un linguaggio che era molto “mio”, personale, che mi aiutava a creare una poetica e un linguaggio col quale mi esprimevo divinamente», dichiarò in seguito l’artista.
Risale a questo periodo la scelta dello pseudonimo Ouka Leele (già fin dai suoi esordi aveva preferito non usare il cognome della famiglia, firmandosi fino a quel momento come “Bárbara Sin Apellido”, ovvero “Barbara senza cognome” oppure “Bárbara Aaaaaaa”), il nome di una stella immaginaria di un quadro del pittore José Alfonso Morera Ortiz, più noto con lo pseudonimo di “El Hortelano” (anche lui uno dei protagonisti della “Movida”), che fu compagno di vita dell’artista in quegli anni. La sua mostra di Madrid presso la Galería Redor dal 6 al 29 marzo del 1980, che si aprì con una performance dell’artista (si presentò all’inaugurazione con un maialino in testa con luci intermittenti al posto degli occhi, dichiarando «Sono Ouka Leele, la creatrice della mistica domestica, dico questo perché la gente considera le mie immagini come una critica sociale, quando sono tutto il contrario: la sublimazione del quotidiano, del domestico») la rende una delle protagoniste del fermento artistico che si stava manifestando in quegli anni nella capitale spagnola. Successivamente viaggia in Messico e vive a New York, ma nel 1981 deve tornare in Spagna a causa di una grave malattia, che però riuscì a superare felicemente. A quell’anno risale la collaborazione al film Laberinto de Pasiones.

Rida como la niebla por el solo (1987)Copia de fotografia in bianco e nerp, dipinta a mano

Gradualmente la sua cosiddetta “mistica domestica”, ovvero la trasformazione di oggetti di uso quotidiano, come un ferro da stiro o un rasoio nel centro dell’opera, che caratterizzava la sua poetica e la “messa in scena delle sue opere”, suscita l’interesse della critica e delle gallerie d’arte di tutto il mondo, tanto che nel 1987 il Museo d’Arte Contemporanea Reina Sofia di Madrid le dedica la prima retrospettiva e, nello stesso anno, alcune sue opere sono esposte nella Biennale di San Paolo.
I migliori lavori di Ouka Leele appaiono come la perfetta fusione di pittura e fotografia. «La pittura è la mia passione. Fin da piccola volevo fare la pittrice, ho passato tutta la vita a farlo; in effetti, è qualcosa che pratico anche con le mie istantanee. Una mia immagine richiede più ore di pittura che di fotografia. Quando lo faccio, riesco ad aggiungere qualcosa di soggettivo a una fotografia, aggiungo sentimento a qualcosa che in linea di principio consiste nel plasmare la realtà», ha dichiarato Ouka Leele. E in realtà anche le foto non ritoccate dall’autrice prima di essere scattate appaiono “pensate” dalla mente di un pittore che, al posto del pennello, utilizza la macchina fotografica.
La scelta di esplorare la particolare zona di confine tra queste due discipline rappresenta uno degli elementi più interessanti della sua creazione artistica. In questo senso Ouka Leele è stata una vera e propria “pioniera” di un territorio poco esplorato e poco frequentato dall’arte contemporanea.
Dalle interviste e dalle testimonianze dei suoi amici, emerge il ritratto di una donna riservata e discreta, dall’indole mite, ma che era in grado di stupire e spiazzare tutti con le sue trovate estrose e geniali. Ouka Leele fu una donna coraggiosa, come dimostra anche la scelta, nel 1990, di portare a termine una maternità da sola (oggi la figlia dirige la fondazione che porta il suo nome).
La sua creazione artistica ha ottenuto nel corso degli ultimi anni numerosi riconoscimenti: nel 2005 riceve il Premio Nazionale di Fotografia; Il regista Rafael Gordon nel 2010 gli ha dedicato La mirada de Ouka Leele (“lo sguardo di Ouka Leele”), in cui documenta la realizzazione di Mi jardín metafísico (“il mio giardino metafisico”), un murales (l’unico mai dipinto dall’artista) di 300 metri quadrati a Ceutí (in provincia di Murcia); al documentario è stato tributato quell’anno un premio Goya nella sua categoria.
Negli ultimi anni si dedica principalmente alla pittura, tuttavia la sua fama a livello mondiale è legata soprattutto alle immagini della serie Peluquería che presentò nella sua prima mostra a Madrid, opere geniali e iconiche che, con quel loro cromatismo acceso e irreale, rappresentano una perfetta istantanea di quell’esplosione di creatività che stava avvenendo in quegli anni nella metropoli spagnola in diversi campi: dall’arte al cinema, dalla letteratura alla musica.
Ma le opere di quest’artista non sono solo il documento di una fase particolarmente intensa e feconda della creatività spagnola; i suoi esperimenti con la fotografia sono opere originali che hanno lasciato un segno nell’arte contemporanea.

L’autore: Lorenzo Pompeo è scrittore, traduttore e slavista