Nel libro "Mostri", che ha inaugurato la nuova collana di Altrecose, la giornalista americana Claire Dederer si chiede se sia possibile continuare ad amare le opere di chi si è macchiato di reati gravi o di una condotta detestabile

Dopo aver creato scalpore negli Stati Uniti nella forma di un lungo articolo e poi di libro, Mostri di Claire Dederer arriva finalmente in Italia, pubblicato da Altrecose, editrice neonata dalla collaborazione tra Iperborea e ilPost. Il problema posto è scottante e ci interpella tutti, in ogni ambito: come porci di fronte all’opera – artistica, culturale, intellettuale – di personaggi la cui biografia presenta macchie, perfino gravi, al punto da farceli apparire come mostri? Gli esempi analizzati nel libro sono per lo più maschili, con le sole eccezioni di Virginia Woolf e Joni Mitchell: Roman Polanski, Woody Allen, Pablo Picasso, Ernest Hemingway, Richard Wagner. Siamo “fan” delle loro opere, non rinunceremmo mai ai loro film, ai loro dipinti, ai loro libri, alle loro arie. Ma affezionarci a loro ci crea più di qualche imbarazzo, poiché la loro genialità si è accompagnata ad azioni deprecabili, o almeno difficilmente apprezzabili.

Dederer affronta questo spinosissimo problema con una invidiabile coerenza problematizzante. Non cerca mai di imporre una risposta, che per altro nemmeno lei sente di avere. Rifugge anzi l’assertività così granitica con cui sempre più spesso le opinioni ci vengono presentate. L’umiltà non è segno di debolezza intellettuale, bensì di impegno sincero nel confronto con una questione complessa, articolata. Una questione che, anzi, è indecidibile, dal momento che l’attrito che avvertiamo a contatto con persone le cui opere ammiriamo è proprio dovuto alla contraddittorietà umana: la nostra di osservatori, la loro di esseri umani ben lungi dalla divinità cui l’arte sembra avvicinarli.

Leggere questo libro, apprezzando il metodo sperimentale con cui l’autrice affronta le proprie tesi e le eviscera in riflessioni mai definitive, mi ha riportato alla mente alcuni casi celebri della filosofia. Viene in mente la filosofia di Heidegger o quella di Gentile: dovremmo gettarle per le simpatie dei due pensatori nei confronti del nazismo e del fascismo? Prima di loro, Arthur Schopenhauer, che predicava la castità, salvo poi essere beccato, una notte, dai discepoli all’uscita di un bordello: alle loro domande, il filosofo risponde che non si deve mai giudicare la filosofia dalla condotta di un filosofo. Prima ancora, Galileo Galilei, che di fronte alla minaccia della Santa Inquisizione disconosce le proprie teorie scientifiche, consapevole della loro forza, stabile e irrefutabile anche senza la testimonianza diretta e personale del loro autore. Molti secoli prima, Aristotele scappa da Atene dopo la morte del suo allievo, Alessandro Magno, temendo di essere ucciso: “Atene si è già macchiata di un delitto contro la filosofia, Socrate, non voglio darle l’occasione per un altro delitto”.

Oltre a questi, che sono casi di personaggi che hanno divincolato la propria opera dalla propria biografia, vi sono però anche casi opposti. Giordano Bruno e, prima, Socrate, che vanno incontro alla morte per testimoniare con la propria vita il proprio messaggio. Un caso speciale è quello dei Cinici antichi, i quali non solo vivono coerentemente con la verità che predicano, ma fanno della propria vita vera e irrefutabile rappresentazione del proprio messaggio: il loro corpo è il teatro su cui il loro pensiero va in scena, costringendo chi è intono a entrarvi in contatto, a sbattervi contro, anche con lo scandalo.

Tutto ciò per dire che la questione della compenetrazione tra biografia e opera è cosa molto controversa. Certo suscita ammirazione chi si immola per la propria opera, chi, anzi, fa della propria vita la propria prima opera d’arte, dimostrando coerenza, coraggio, passione. Ma, sempre più dall’epoca moderna, il soggetto si è trasformato in una funzione astratta, la cui parola e la cui azione sono slegate dalla persona concreta, in carne e ossa. Diventa perciò d’obbligo interrogarci se sia il caso di gettare alle ortiche l’opera intellettuale di persone la cui biografia non ha nulla di buono da trasmetterci, ma le cui produzioni arricchiscono in nobiltà la vita di chi vi si accosta. Se nella complessa contraddittorietà di un individuo, vi sono opere – la biografia – degradanti, e opere – intellettuali – edificanti, vale forse la pena considerare caso per caso quanto le prime contaminino le seconde, quanto le seconde abbiano urgenza del sostegno delle prime per reggersi, e decidere, forse perfino con la pancia e il cuore, come collocarci a riguardo.

L’autore: Carlo Crosato è ricercatore di filosofia politica all’Università di Bergamo e saggista