Vescovi cattolici, pastori evangelici e destra bolsonarista sostengono un progetto di legge che prevede da 6 a 20 anni di carcere alle vittime di stupro che decidono di abortire, anche se minori di 14 anni. Il doppio della pena prevista per lo stupratore
In Brasile lo stupro è una delle pochissime situazioni che consentono l’interruzione legale della gravidanza. Le altre sono il rischio di morte della gestante e l’anencefalia fetale. In questi casi, non esiste un limite di età gestazionale per la procedura, che deve essere offerta dal Sistema sanitario nazionale (Sus) in servizi specializzati e accreditati. Ora però anche le donne vittime di violenza che decidono di abortire potrebbero rischiare il carcere. Una misura che, come vedremo, colpisce anche le minori di 14 anni. È quanto prevede un progetto di legge 1904/2024 presentato alla Camera dei deputati il 17 maggio dal pastore neopentecostale Sóstenes Cavalcanti - appartenente all’estrema destra bolsonarista - e sottoscritto da 32 deputati della stessa area politica. La norma di Cavalcanti, soprannominata da giuristi e associazioni femministe “Lei do estupro e do estuprador”, è sostenuta dai vescovi cattolici e dai pastori evangelici presenti in Parlamento, e prevede una pena da 6 a 20 anni per le donne che abortiscono dopo la ventiduesima settimana, anche se vittime di stupro. Si tratta in pratica del doppio della pena prevista per uno stupratore. Le vittime saranno costrette a partorire anche nel caso fossero delle bambine, un dato aberrante che mette in luce un netto peggioramento rispetto a quanto previsto nel Codice penale del 1940 che non stabiliva alcun limite legale all’aborto in casi di stupro. Il progetto di legge contro l’aborto tanto caro ai vescovi cattolici brasiliani prevede per le minori che abortiscono dopo la ventiduesima settimana, anche in caso di violenza sessuale, a seconda della “gravità” dei casi: l’ammonimento, l’obbligo di riparare il danno, la prestazione di servizi, la semilibertà, la libertà vigilata, o persino l’internamento per tre anni, presso un “istituto educativo”. In quest’ultimo caso, il rilascio avviene obbligatoriamente non prima del compimento del ventunesimo anno di età. La cosa ulteriormente sconcertante è che, oltre al dolore di aver subito una violenza sessuale, le vittime saranno separate dai loro familiari, i quali dovranno affrontare un processo penale per averle accompagnate ad abortire. In fretta e furia, il 12 giugno scorso, i parlamentari hanno stabilito il “regime d’urgenza” per votare la legge, forse per il timore avvertito da parte del mondo religioso cattolico ed evangelico, che prevalessero nell’opinione pubblica i fondamenti scientifici e giuridici, favorevoli alla depenalizzazione dell’aborto nelle prime dodici settimane di gestazione (e a prescindere dalle circostanze), esposti da Rosa Weberl, giudice della Corte Suprema. Nel settembre del 2023 Weber ha messo nero su bianco che prima della nascita, non esiste il diritto alla vita, aggiungendo che la difesa della “vita” sin dal concepimento viola l’articolo 5 della Carta Magna, in quanto attribuisce a embrione e feto la titolarità di diritti fondamentali, paragonandoli a quelli di un essere umano: la donna.

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