Dalla ministra dei Popoli indigeni Sônia Guajajara alla scrittrice Eliane Potiguara e poi artiste, attiviste. In Brasile c’è un vasto movimento di donne che lotta da 20 anni per l’ambiente e i diritti delle popolazioni autoctone
«Basta averli visti una volta per esserne edificati, queste cime di ghiaccio, queste grotte abissali, queste foreste profonde, templi di alte e proficue rivelazioni». Così scriveva l’antropologo Claude Levi Strauss a proposito dei suoi primi contatti con nativi brasiliani tra il 1935 e il 1939. Erano Bororo, Caduveo, Nambikwara con pitture facciali come costellazioni, con capanne come gioielli vegetali incastonati nella foresta. “Proficue rivelazioni” anche per le centottanta persone che hanno gremito la Sala Palestrina dell’Ambasciata del Brasile a Piazza Navona, di fronte a una donna del popolo Guajajara dal volto sorridente, incorniciato dalle piume colorate del suo cocar. Sônia Bone de Souza Silva Santos Guajajara, è ministra di una istituzione che non esisteva, voluta e battezzata dal presidente Lula l’11 gennaio del 2023 come ministero dei Popoli indigeni, il primo al mondo, che vede per la prima volta una donna nativa dirigere un dicastero. Nata nella terra indigena di Arariboia, nello Stato del Maranhão, attivista molto impegnata, dal 2013 coordinatrice del Apib, organismo che riunisce le principali organizzazioni indigene del Brasile, candidata alla vicepresidenza, deputata federale per lo Stato di San Paolo e ora ministra, Sônia Guajajara è la punta di diamante di un movimento ampio e articolato, cresciuto dall’unione di migliaia di donne appartenenti a oltre trecento popoli, consolidatosi politicamente a partire dalle proteste del 2004 e strutturatosi nel 2019 con la prima “marcia delle donne indigene” nella capitale Brasilia. Con le loro pitture corporee, copricapi e collane di piume, canti e danze, denunciarono a gran voce le devastazioni ambientali dei cercatori d’oro, incendi, omicidi e violenze in epoca Bolsonaro, sfilando così vicine ai palazzi del potere da riuscire poi ad entrarci, quando Lula vinse le elezioni. Oggi le native che ricoprono ruoli di potere governativo sono cinque, un numero record - tra i 513 membri della Camera dei deputati. La più votata è stata Célia Xakriabà, che ha denunciato dettagliatamente la massiccia esportazione di prodotti brasiliani provenienti da territori indigeni, che comporta l’invasione dei villaggi, lavoro schiavo, violenze e gravi conflitti. Anche a capo della Funai, ente governativo di difesa dei popoli indigeni, per anni uno strumento ambiguo di potere e manipolazione, c’è ora una donna indigena, l’ex deputata Joenia Wapichana, la prima nativa a diventare avvocata in Brasile, autrice del libro Povos indígenas e a lei dos “brancos”: o direito à diferença (Popoli indigeni e legge dei bianchi: il diritto alla differenza). Molte sono le protagoniste di spicco di questo sfaccettato movimento che lancia appelli efficaci come “riforestiamo il pianeta, riforestiamo le menti” o come “la terra è il nostro corpo e il nostro spirito”, indicando un modo di fare politica universale che include la crescita interiore e la consapevolezza globale.

Questo articolo è riservato agli abbonati

Per continuare la lettura dell'articolo abbonati alla rivista
Se sei già abbonato effettua il login