Leone d'oro alla carriera 2023, il regista ha realizzato una nuova tappa del suo ultra trentennale lavoro nel carcere di Volterra. Eccone un toccante racconto fra parole e immagini

foto di Filippo Trojano

È un procedere lento, un avvicinamento per gradi quello che fa il pubblico entrando nella casa di reclusione di Volterra per assistere allo spettacolo Atlantis – Capitolo 2 diretto da Armando Punzo, regista e drammaturgo della Compagnia della Fortezza, andato in scena nei giorni scorsi. Si attraversano porte di ferro, cancelli, spiazzi, in un percorso che prepara ad immergersi in una dimensione altra, quella del teatro, che in questo caso occupa e abita spazi solitamente invalicabili che negli otto giorni di repliche si aprono a sguardi e presenze esterne.

Gli attori tornano in scena per salutare il pubblico al termine dello spettacolo. Foto di Filippo Trojano

Come se quello spazio lo spettatore se lo dovesse meritare, entrando con rispetto. La forza e l’intensità delle parole e dei gesti portati in scena dalla compagnia, formata prevalentemente da detenuti con cui Punzo lavora da oltre trent’anni, cambiati nel tempo (alcuni di loro una volta usciti hanno intrapreso la carriera di attori professionisti e succede che tornino come ospiti esterni), si nutre di occhi che cercano e dialogano con gli astanti in uno scambio silenzioso. Mani forti, visi espressivi e sguardi profondi stabiliscono un contatto che cattura subito e tiene tutti incollati. Corpi che si muovono in performance di danza, scenografie geometriche che scivolano sul cemento del cortile, polvere, vernice, i costumi bianchi e neri di Emanuela Dall’Aglio, eccentrici, poetici, originali, che si contrappongono alle tante sfumature delle battute, frasi che dette in quei luoghi assumono un valore e una potenza speciale.

Un lavoro che vede alla direzione organizzativa Cinzia de Felice e alle musiche originali Andreino Salvadori, e che ruota intorno a testi filosofici, scientifici, matematici. Una riflessione sulle potenzialità dell’uomo e sulla felicità come ricerca continua.

Un attore di Atlantis in un momento di passaggio da una scena all’altra. Foto di Filippo Trojano

L’utopia di un altro mondo e un altro uomo sono obiettivi e aspirazioni, come auspica Armando Punzo, che hanno una forte carica rivoluzionaria. Fra i riferimenti del regista c’è Il Principio Speranza di Ernst Bloch. Le riflessioni rimbalzano dal palco alla platea, le domande interrogano tutti su temi universali che contrappongono la prigione reale a quella più grande in cui tutti noi siamo rinchiusi, ma da cui possiamo liberarci.

L’essere umano visto e considerato in tutte le sue potenzialità è al centro della ricerca interiore come recita un passaggio. “Un piccolo laboratorio utopico. Un laboratorio utopico. La prima enciclopedia utopica… Paesaggi dell’anima, configurazioni di attese e di desideri interiori. Non nella storia, fuori dalla storia. Io sono ma non mi possiedo in tutte le molteplici possibilità. Io sono molteplici possibilità. Un’infinita gamma di possibilità, tutte da esplorare contemporaneamente”. Ci si sposta fra il cortile, le stanze adibite a scuola, i corridoi stretti, la chiesa, il campino, un percorso che è al tempo stesso reale e simbolico.

Fonti di ispirazione- cercando nessi profondi fra personalità distanti- sono anche il filosofo e matematico greco Euclide, con la sua opera più nota, Elementi, il fisico e ingegnere elettrico Tesla, ma anche il pittore Gauguin. Le parole che pronuncia il regista e attore risuonano come un monito: “la nostra determinazione è di stare fuori dalla storia. Non tutto ciò che esiste è naturale che esista così… Mi chiamo fuori da tutto” e ancora “nulla è la storia, storia che non impara, storia da dimenticare. Dalle sue tenebre ci lancia lacci che vogliono legarci alle sue false promesse di un futuro che è tutto nel passato. Fin dove possiamo arrivare? Quanto è profondo il nostro respiro? Fin dove si allungano il braccio e lo sguardo per accogliere ciò che ancora non ci appartiene? Abbiamo bisogno di una destinazione sconosciuta in cui nulla ci assomigli. È questa… è questa la felicità di cui parlo”.

Armando Punzio e Bustos Tunoo Nay si preparano per iniziare lo l’ultima replica dello spettacolo. Foto di Filippo Trojano

Armando Punzo, insignito nel 2023 del Leone D’oro alla carriera dalla Biennale di Venezia per la ricerca sul senso del teatro e la sua idea concreta e visionaria al tempo stesso, usa la fantasia per andare oltre le sbarre reali e invisibili. Nel suo lavoro quotidiano, iniziato con i detenuti nel 1988 e allora unico progetto simile che nel 1994 è diventato il primo di Teatro Carcere, con la Compagnia della Fortezza in più di trentacinque anni ha realizzato circa quaranta spettacoli pluripremiati in Italia e all’estero facendo dell’istituto penale di Volterra un centro culturale riconosciuto a livello internazionale. E se il teatro ha il potere di allargare lo sguardo e creare un ponte fra la realtà e la finzione, fra un dentro e un fuori, non c’è luogo più adatto del carcere perché questo accada. Se noi possiamo uscire e lasciarci alle spalle quelle porte blindate ci portiamo dietro un pezzo di loro, di quelle parole e quegli occhi, di quei pensieri che germoglieranno e a cui non possiamo restare indifferenti. Nel tempo dello spettacolo si è creato un incontro, e se tutto questo potrebbe sembrare retorico a chi non ha avuto occasione di entrare nella Fortezza, non lo è per chi ha fatto quell’esperienza, forte, luminosa, stimolante.

 

L’autrice dell’articolo e l’autore delle fotografie : Linda Chairamonte è giornalista e collabora con varie testate, fra le quali Il Manifesto. Filippo Trojano è fotografo professionista, autore di libri e collaboratore di molte riviste