La gestione del patrimonio pubblico è stata oggetto negli ultimi decenni di uno “sciame normativo” a seconda del ministro di turno. Il risultato: confusione negli uffici, perdita di competenze scientifiche, più danni che benefici. Ne parla Francesco Erbani, un attento osservatore del sistema culturale del Paese, in questa anticipazione del suo libro "Lo stato dell’arte"
Dal 1998 ai primi mesi del 2024 il ministero dei Beni culturali ha conosciuto 15 riforme. Mediamente una ogni anno e sei mesi. Una strabiliante e instancabile vocazione innovativa o un terribile stress? Si è trattato, in realtà, prevalentemente di faccende relative alla denominazione - ora infatti il ministero è intitolato alla Cultura e non più ai Beni culturali - oppure di questioni riguardanti gli assetti interni, dalla struttura di vertice fino alle diramazioni territoriali, cioè i musei e le soprintendenze. E dunque l’uso del termine riforma appare un po’ sproporzionato. Infatti con esso si è talvolta designato l’accorpamento di beni culturali e turismo o, al contrario, la loro separazione. È stata poi adottata la parola riforma quando si è introdotto il segretariato generale, come punto apicale della piramide, e anche quando il segretariato generale è stato abolito.
Qualcuno, tempo fa, ha parlato di “sciame normativo”, paragonando a un fenomeno sismico quel che accadeva al fragile edificio della tutela pubblica in Italia, con l’avvertenza che non di attività naturale si trattava, ma degli effetti tellurici di decisioni politiche. Qualcosa di molto simile a una riforma è accaduto però nel 2014, quando l’allora ministro Dario Franceschini, governo presieduto da Matteo Renzi, ha deciso che alcuni fra i più grandi musei e siti archeologici - gli Uffizi, Capodimonte, Brera, poi anche il Colosseo… - diventassero autonomi, si sganciassero cioè dalle soprintendenze, alle quali erano fino ad allora collegati, e acquistassero una loro personalità giuridica e istituzionale. I primi effetti si sono visti a partire dal 2015 e hanno interessato venti, quindi quaranta e infine, diventato ministro Gennaro Sangiuliano, sessanta istituti. (…)
Contemporaneamente all’istituzione dei musei autonomi un’altra riforma modifica gli assetti interni del ministero incidendo sulla struttura delle soprintendenze, alcune delle quali avevano già conosciuto modifiche riguardo alle competenze territoriali, con intere province che, facenti capo a un ufficio, si trovavano di colpo assegnate a un altro. La svolta avviene però quando si decide che in ogni regione ci sarà un’unica soprintendenza che accorpa quelle per il paesaggio, i beni architettonici, quelli storico-artistici e successivamente anche quelli archeologici (in alcune regioni, però, ci saranno anche più soprintendenze uniche). È una semplificazione? Così l’allora ministro Franceschini la promuove nelle interviste che rilascia. (…)
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