Le forze israeliane, secondo quanto documentato nel rapporto, hanno spesso utilizzato munizioni vere per colpire i bambini, mirandoli in particolar modo alla testa e al torace

Un recente rapporto di Defence for Children International (Dcip) dipinge un quadro cupo e drammatico della Cisgiordania occupata, dove l’infanzia è stata travolta dalla mano implacabile dell’occupazione, con oltre 140 bambini palestinesi uccisi dalle forze israeliane e dai coloni tra il 7 ottobre 2023 e il 31 luglio 2024. Il rapporto è il risultato di un lavoro meticoloso basato su testimonianze oculari, referti medici e filmati di sorveglianza raccolti nei territori sotto controllo militare. I dati illustrano una realtà agghiacciante: in media, un bambino palestinese è stato ucciso ogni due giorni durante questo periodo, un ritmo spaventoso che mette in luce la vulnerabilità estrema a cui sono esposti i minori palestinesi nelle zone di conflitto e dominio forzato.

Le forze israeliane, secondo quanto documentato nel rapporto, hanno spesso utilizzato munizioni vere per colpire i bambini, mirandoli in particolar modo alla testa e al torace. Il ricorso alla forza letale contro bambini innocenti, incapaci di incarnare una minaccia, ha generato interrogativi profondi sull’operato dell’esercito israeliano, accusato di perpetrare violazioni sistematiche contro i principi universali di giustizia e dignità umana. Ogni vita interrotta diventa uno squarcio sulla coscienza collettiva, purtroppo inutile a ricordare il diritto di ogni bambino a crescere e sognare in pace.

In particolare, il rapporto sottolinea che 18 dei bambini uccisi sono stati colpiti alle spalle, suggerendo chiaramente che non erano rivolti verso i loro aggressori e che, quindi, non stavano cercando di “attaccare” o opporre resistenza. Un dettaglio che amplifica la crudeltà e l’inaccettabilità di questi atti criminali.

Uno degli aspetti più inquietanti rivelati dal rapporto è il fatto che, in molte occasioni, i bambini palestinesi siano stati presi di mira dai cecchini israeliani, impiegati regolarmente durante le incursioni militari nelle comunità palestinesi della Cisgiordania. Tiratori scelti che sembrano specialisti nello scivolare in una crudeltà tanto distaccata quanto spietata. I minori, in questa perversa sceneggiatura di violenza, diventano bersagli di un gioco macabro, un esercizio di disumanità che non conosce pietà, esibito come una manifestazione di potere su esseri fragili e soprattutto innocenti. In molti casi, le vittime non si trovavano in situazioni di scontro diretto o di conflitto armato, ma semplicemente svolgevano le loro normali attività quotidiane. Questo rende la situazione ancora più grave, poiché dimostra una sistematica disumanizzazione delle vittime.

Un esempio emblematico citato nel rapporto è quello di Mahmoud Amjad Ismail Hamadneh, un ragazzino di 15 anni che è stato colpito alla testa, al torace e agli arti mentre tornava a casa in bicicletta da scuola nella città di Jenin. Ciò mostra come anche semplici azioni quotidiane come andare e tornare da scuola siano pericolose e potenzialmente letali per i bambini palestinesi.

Oltre agli attacchi diretti contro i bambini e adolescenti, il rapporto denuncia un’altra dimensione profondamente inaccettabile delle azioni delle forze israeliane. In ben il 60% dei casi documentati, è stato impedito l’accesso ai soccorsi per i minori feriti. La negazione dei soccorsi rappresenta una violazione flagrante delle norme internazionali umanitarie e acuisce il dramma umano che colpisce la popolazione palestinese. In particolare, le giovani vite, già messe a dura prova dalla violenza dell’occupazione illegale, vengono ulteriormente sacrificate in un quadro di indifferenza e disumanità, come se fossero offerte in un rituale di crudeltà che ignora la sacralità e la dignità intrinseca di ogni esistenza.

L’uccisione deliberata di bambini e l’impedimento dei soccorsi oltre a violare i diritti umani fondamentali, sono anche una palese infrazione dei principi fondamentali delle Nazioni Unite sull’uso della forza e delle armi da fuoco da parte delle forze dell’ordine. Secondo questi principi, l’uso di munizioni vere dovrebbe essere limitato a situazioni di estrema necessità, quando tutte le altre misure si sono rivelate inefficaci. Tuttavia, il rapporto del Dcip sostiene che le forze israeliane hanno dimostrato un costante disprezzo per tali linee guida, impiegando armi letali contro bambini in situazioni non giustificate e senza che vi fossero minacce concrete o immediate alla loro sicurezza.

Nonostante le prove evidenti accumulate nel corso degli anni, nessun soldato israeliano è stato ritenuto responsabile di queste uccisioni. Questo senso di impunità non è solo una lacuna volontaria nella giustizia israeliana, ma un seme che accresce la violenza, contribuisce alla diffusione di una cultura che disprezza il diritto internazionale e la preziosità dei diritti umani, promuovendo un ciclo di indifferenza verso la sofferenza palestinese. In questo modo, l’assenza di responsabilità diventa un atto di disprezzo verso la dignità umana, un perpetuo tradimento dei principi di giustizia e rispetto che dovrebbero guidare l’intera umanità. È per questo motivo che, le azioni descritte nel rapporto sono configurate come crimini di guerra secondo la Corte penale internazionale (Cpi), in quanto si tratterebbe di omicidi volontari di civili, in violazione del diritto umanitario internazionale.

A tal proposito, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, ha recentemente richiamato l’attenzione sul parere della Corte internazionale di giustizia (Icj), che ha definito l’occupazione israeliana una forma illegale di apartheid, sottolineando l’urgenza di porre fine all’occupazione e di far rispettare le norme internazionali. La mancanza di responsabilità da parte delle autorità israeliane nel trattare queste violazioni, in particolare quelle che coinvolgono bambini, rappresenta un nodo cruciale nel dibattito internazionale sui diritti umani in Palestina. Una carenza di giustizia così grave non è solo una questione di responsabilità legale, ma un riflesso di una più ampia crisi etica. Essa solleva interrogativi fondamentali sulla nostra capacità di proteggere i più indifesi e di mantenere la nostra integrità morale come comunità globale.

La situazione si complica ulteriormente alla luce delle accuse di genocidio che incombono su Israele presso la Corte internazionale di giustizia, in relazione alle sue azioni durante la guerra nella Striscia di Gaza. Secondo il ministero della Salute di Gaza e le agenzie delle Nazioni Unite, l’offensiva israeliana ha causato la morte, la mutilazione o la scomparsa di almeno 145.000 palestinesi, con oltre 17.000 bambini tra le vittime. La devastazione ha lasciato una cicatrice profonda nella vita della popolazione di Gaza, con conseguenze che trascendono la dimensione immediata per radicarsi profondamente nella trama della società. Le ferite fisiche e psicologiche non colpiscono solo i singoli individui, ma travolgono intere famiglie e collettività, segnando il benessere e la speranza delle generazioni a venire. Questo dolore e queste perdite sollecitano una riflessione profonda sulla nostra capacità di rispondere con umanità e compassione. Ogni vita danneggiata, ogni sogno infranto, rappresenta un appello urgente a garantire che la nostra risposta sia guidata dal desiderio di guarire e di restituire dignità, affinché il futuro dei giovani palestinesi possa essere costruito su basi di giustizia e speranza per tutti.

L’autore: Andrea Umbrello è direttore editoriale & Founder di Ultimavoce

A boy looking at an Israeli soldier in front of the West Bank barrierBy Picture taken by Justin McIntosh – Originally uploaded at a different location, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1157033