Il disegno di legge governativo 1660 presenta disposizioni repressive di stampo che non esistiamo a definire caratteristico dei periodi più bui della nostra storia. Lo abbiamo segnalato già a luglio, come Osservatorio Repressione. Ne avevamo scritto su Left. Ora il provvedimento sta giungendo, a tappe forzate, all’approvazione della Camera dei Deputati. Il governo, come un rullo compressore, abbatte le critiche dei movimenti di lotta, delle associazioni, del sindacalismo, della ampia galassia garantista. Sono già in corso mobilitazioni sui territori. Perfino l’Osce, l’organizzazione per la sicurezza in Europa, ha scritto, manifestando grande preoccupazione: «La maggior parte di queste disposizioni ha il potenziale di minare i principi fondamentali della giustizia penale e dello Stato di diritto». Questo disegno di legge da “Stato di polizia” trova, infatti, le sue radici nella volontà verso la corsa al riarmo. È una corazza ordoliberista dell’economia di guerra. Lo Stato sociale muore, abbattuto dallo Stato penale. Una tendenza che non nasce certo oggi, ma è sulla scia di normative pessime (basti citare, tra le tante, il decreto Renzi/Lupi, il decreto Minniti, i decreti Salvini, fino all’ultimo decreto Caivano).
L’accezione della cosiddetta “sicurezza” diventa ipertrofia penalista, con misure repressive e sanzioni abnormi (vedi il documento di Antigone e Asgi in occasione dell’audizione alla Camera ndr), per prevenire e eliminare conflitti. Vi è un vero e proprio salto di paradigma; non siamo solo di fronte ad una dose maggiore di repressione ma a vere e proprie tecniche e forme di governo. Come ha ben illustrato il giurista Livio Pepino vi è, inoltre, una saldatura tra poteri politici e militari e informazione: tutte e tutti hanno calzato l’elmetto della guerra. Questa normativa è sottovalutata (o, in parte, accettata) dai partiti della opposizione parlamentare, che non comprendono che si tratta di un vero e proprio salto di fase. Perché si sta configurando una simbiosi tra tutela della formazione sociale e immaginario della sicurezza, che genera sia uno “Stato del controllo” che una “società del controllo”, cioè lo stravolgimento del rapporto tra statualità e cittadinanza.
Il neoliberismo autoritario alimenta il populismo penale, anche sul piano delle strutture istituzionali. Il capitale privato, come la pubblica amministrazione, sono pervasi da una vera e propria architettura di sorveglianza. Non a caso cresce una miriade di imprese specializzate nel mercato del controllo sicuritario: riconoscimento facciale, sorveglianza biometrica, ecc. Ha scritto giustamente Shoshana Zuboff, (la sociologa autrice de Il capitalismo della sorveglianza ndr) : «Stiamo pagando per farci dominare ; basta» Dobbiamo seguire il suo invito. Potremmo pagare amaramente le rimozioni dell’oggi: la democrazia, come la libertà, è indivisibile.Italo Di Sabato e Giovanni Russo Spena
Nella foto: frame di un video di una manifestazione degli attivisti climatici di Extinction Rebellion a Roma