Lo spettacolo della compagnia franco catalana a Romaeuropa coniuga magistralmente danza, musica e teatro, coinvolgendo tutto il pubblico in una riflessione sul tema dell'uguaglianza di tutti gli esseri umani

Presentato in anteprima nazionale al Teatro Argentina a Roma nell’ambito di Romaeuropa festival  Qui som? della compagnia franco-catalana Baro d’evel è qualcosa in più di uno spettacolo teatrale: un evento culturale nel quale sono magistralmente coniugate danza, musica e teatro, ma anche una festa popolare che coinvolge tutto il pubblico (nel travolgente finale i dodici attori con i rispettivi strumenti musicali hanno formato un corteo e suonato nello spiazzo di fronte al teatro Argentina invitando il pubblico a seguirli per ballare e cantare).
Concepito da Camille Decourtye e Blaï Mateu Trias, la sua realizzazione ha coinvolto un folto gruppo di tecnici e di artisti che occorre qui menzionare (scenografia e costumi: Lluc Castells, collaborazione musicale e creazione del suono: Fanny Thollot, collaborazione musicale e composizione: Pierre-François Dufour, ricerca sui materiali e sui colori: Bonnefrite, ingegnere delle percussioni in ceramica: Thomas Pachoud, ceramista: Sébastien De Groot), perché il loro contributo è fondamentale per la realizzazione dello spettacolo in questione, nel quale la scenografia, la musica, in parte eseguita sulla scena dagli attori, la ceramica con la quale sono realizzate e plasmate durante la rappresentazione le maschere degli attori, sono tutti elementi che vi giocano un ruolo fondamentale. Infatti Qui som? è il risultato di un lavoro di un collettivo di artisti catalani e francesi nel quale le individualità compongono un insieme nel quale al centro vi è il gruppo stesso e solo una parte di questo lavoro è visibile dal pubblico sulla scena (il ruolo dei tecnici dietro le quinte è altrettanto importante). Tutti insieme, attori e tecnici, contribuiscono al funzionamento di una “macchina scenica” che esalta il lavoro dell’intero gruppo.


Ricostruire la genealogia dello spettacolo in questione non è difficile, dal momento che ripercorre le principali tappe del teatro novecentesco: si va dalle scenografie monumentali allestite per gli spettacoli di Gordon Craig e Max Reinhardt, al totaltheatr di Walter Gropius, al “teatro della totalità” di Moholy-Nagy, dal teatro costruttivista di Mejerchol’d alle regie teatrali del giovane Ejzenštejn, basate su una felice contaminazione tra circo e teatro, dal celebre Balletto triadico di Oskar Schlemmer del 1926 all’ancor più celebre Parade, lo spettacolo della compagnia dei Ballets Russes di Serghej Djagilev con le musiche di Eric Satie e i costumi e le scenografie disegnate da Pablo Picasso che, andato in scena a Parigi nel 1917, che segnò uno dei punti più alti del teatro novecentesco. Si passa poi al secondo dopoguerra, con il teatro dell’assurdo di Samuel Beckett e Eugène Ionesco (a cui si ispirano gli scarni dialoghi dello spettacolo in questione) fino al Tanztheater di Pina Bausch, nel quale veniva data facoltà a degli attori-danzatori di improvvisare sulla scena.
Ma se da una parte le radici, e cioè le ispirazioni e i punti di contatto con le esperienze teatrali del secolo scorso, sono evidenti, i tempi nuovi impongono una riflessione più radicale: Qui Som?, prima parte di una trilogia, nasce dall’esigenza di rispondere a una domanda, semplice e ancestrale, a cui il gruppo franco-catalano fondato da Camille Decourtye e Blaï Mateu Trias tenta di dare una risposta: nella prima scena gli attori cadono e si rialzano, si dimenano e si divincolano nell’argilla liquefatta, materia con la quale sono fatte anche le maschere che successivamente indosseranno fino a coprire il loro volto e che poi, nel corso dello spettacolo, verranno plasmate dagli attori stessi. Un riferimento evidente al Nephesh, il soffio vitale (in greco Psyché). La ricerca di un minimo comune denominatore di un’umanità che oggi sembra avere perduto completamente ogni prospettiva passa per una ritorno alle origini, o meglio, per una ricerca della nostra nascita, sembrano suggerire i due registi. E proprio questa rappresenta forse la migliore eredità che il secolo appena trascorso ci ha lasciato.


Nello spettacolo in questione non mancano spunti di riflessione relativi al disastro ambientale a cui stiamo assistendo proprio ora, acuito dal prepotente ritorno sulla scena della guerra: nel finale un mare di bottiglie di plastica invade tutta la scena.
L’ambizione della compagnia franco-catalana evidentemente è quella di offrire allo spettatore l’occasione per riflettere sulla contemporaneità, sulla illusoria rappresentazione dell’individualità offerta dai social media (a ciò si riferiscono probabilmente le maschere di argilla che coprono i volti degli attori), sul degrado dei rapporti umani e dell’ambiente (che evidentemente vanno di pari passo). Ma prima di tutto lo spettacolo in questione, per fortuna, è soprattutto una grande festa a cui lo spettatore è invitato a unirsi con tutti i sensi, col corpo e con la mente, all’insegna dell’elemento dionisiaco. il ritmo rappresenta infatti il principio e la fine, l’alfa e l’omega dell’umanità e, allo stesso tempo, il motore dello spettacolo in questione.
Da quanto detto appare chiaro che assistervi rappresenta un’esperienza unica (sulla piattaforma gratuita Arté ne esiste una versione video, ma vederlo di persona è tutta un’altra cosa).
Qui som? per tutto il 2024-2025 sarà in tournée in alcuni teatri europei. Nella speranza di poterlo rivedere presto in Italia, consiglio, a chi dovesse trovarsi in qualche città dove farà tappa, di andare a vederlo.
lo spettacolo era stato già messo in scena nell’edizione del Festival d’Avignon di quest’anno e ne è disponibile gratuitamente una versione video sulla piattaforma Arté,

L’autore: Lorenzo Pompeo è traduttore, saggista, scrittore e docente universitario