Francesca è una donna di 63 anni. Ha lavorato per 30 anni, guadagnando ogni mese lo stipendio che per circa 20 anni le ha permesso di pagare un affitto vicino ai mille euro al mese al Fondo Cicerone, riconducibile al grande proprietario immobiliare romano Caltagirone.
Da quando è stata licenziata, ha avuto difficoltà a sostenere le spese di affitto. Nell’ultimo anno e mezzo non ce l’ha fatta più. La proprietà ha avviato una procedura di sfratto, malgrado i vari tentativi di conciliazione che pure erano arrivati da Francesca e da Asia-Usb, il sindacato di inquilini e abitanti che ha seguito la vicenda. E malgrado la stessa società immobiliare già possieda decine e decine di appartamenti sfitti nella stessa zona.
Il 19 settembre, con un gran spiegamento di forze di polizia (costo a carico della collettività), Francesca, che si era incatenata al balcone di casa, è stata sfrattata. Buttata per strada senza alcuna soluzione alternativa. Costretta a dormire in auto.
Un passo indietro. Maggio 2019. La multinazionale statunitense Whirlpool annuncia da un giorno all’altro la chiusura dello stabilimento di Napoli, con conseguente licenziamento dei 420 operai.
I lavoratori e le lavoratrici entrano immediatamente in sciopero e tra le prime forme di protesta decidono di scendere in strada e bloccare il vicino svincolo autostradale. Lo rifaranno più volte nel corso degli anni, fino a una soluzione positiva della vertenza, con l’arrivo di un nuovo privato che ha preso l’impegno di riconvertire la produzione, mantenendo tutta la forza lavoro rimasta.
La lotta è servita a difendere i posti di lavoro contro la volontà speculativa della multinazionale.
Francesca e i 420 operai della Whirlpool non rispondono all’identikit dei criminali. Eppure, per il governo Meloni, lo sono. Così dice il Disegno di Legge (Ddl) 1660, che ha come firmatari il ministro dell’Interno Piantedosi, quello della Difesa (Guerra) Crosetto e quello della Giustizia Nordio.
Il 18 settembre il provvedimento è stato approvato dalla Camera dei Deputati con 162 sì, 91 no e 3 astenuti. Prima di diventare legge e poter esercitare effetti concreti, dovrà passare al Senato, dove si annuncia un altro “sì” scontato.
La norma introduce ben 24 tra nuovi reati e aggravanti. Cioè, in sintesi, più carcere e pene più pesanti. Anche per chi resiste a uno sfratto – come Francesca – e per chi protesta con lo strumento del blocco stradale – come gli ex operai Whirlpool. Fino a oggi per queste fattispecie si incorre al massimo in illeciti amministrativi; d’ora in poi si passerà al penale. Si trasforma chi resiste e chi lotta in un criminale, per l’appunto.
Il Ddl 1660 viene comunemente definito “decreto sicurezza”, tanto dal potere mediatico quanto da quello politico. Così facendo lo si inserisce in un quadro che vorrebbe l’ultradestra battersi per la “sicurezza” dei cittadini e delle cittadine.
Avallare l’uso di questo nome, come sta facendo anche l’opposizione parlamentare, significa un cedimento alla cornice ideologica propria dell’ultadestra.
Meglio sarebbe definirlo sulla base della sua vera natura: “Ddl repressione”, ad esempio. O, anche, “Ddl Rete 4”, visto che la maggior parte dei nuovi reati e delle nuove pene sono il punto di caduta normativo di anni di dibattiti e talk show promossi dal canale della berlusconiana Mediaset.
Prima è venuta la battaglia delle idee, poi questo nuovo quadro normativo con cui si offrono risposte a quei temi – e alla particolare lettura che di essi è stata fatta – imposti nell’agenda del Paese dal potere mediatico dell’ultradestra.
Alla mancanza di un tetto sicuro sulla testa di troppi cittadini, l’ultradestra mediatica da anni risponde puntando il dito contro le occupazioni di abitazioni sfitte da parte dei movimenti di lotta per la casa.
Per l’ultradestra il problema non è l’assenza di case popolari (in Italia sono il 4% del totale, contro il 17% della Francia, il 18% del Regno Unito e addirittura il 35% dell’Olanda), né le più di 70mila vuote in tutto il Paese né gli affitti alle stelle, soprattutto nelle grandi città (in media +10,2% tra 2022 e 2023, ma +14,2% nelle 14 città metropolitane); se troppi cittadini non hanno una casa è a causa di chi occupa immobili sfitti, magari da decenni.
Una spiegazione contro ogni logica, anche numerica, e che pure si è diffusa in ampie fette di popolazione.
Così che oggi l’articolo 8 del Ddl 1660 può indicare il nemico in chi occupa una casa sfitta e punirlo con il carcere da 2 a 7 anni. Così facendo punisce anche chi «impedisce il rientro nell’immobile del proprietario o di colui che lo detiene legittimamente», cioè anche quegli inquilini che non ce la fanno più a pagare l’affitto, magari perché licenziati (come la sig.ra Francesca) o perché il proprietario ha deciso di raddoppiare l’importo o perché vuole destinarlo ai più lucrativi turisti. E prevedendo il carcere pure per chi in maniera solidale, partecipa ad esempio a un picchetto antisfratto.
Una norma, l’articolo 8 del Ddl 1660, che difende gli interessi dei proprietari, a partire dai grandi, mentre nulla offre a chi è in cerca di una risposta ai propri bisogni abitativi.
Il blocco stradale o ferroviario passa da illecito amministrativo a reato penale: si rischieranno da 6 mesi a 2 anni di carcere se commesso da più persone (art. 11). L’ultradestra sostiene si tratti di un reato per colpire gli attivisti ambientalisti di Ultima Generazione che negli ultimi anni hanno organizzato diversi blocchi stradali per sensibilizzare sulle politiche che ci stanno conducendo sul baratro della distruzione del pianeta. Proteste pacifiche individuate come nemico da eliminare. Bizzarro che il Ddl 1660 stia per diventare legge contro gli attivisti ambientalisti proprio mentre una nuova alluvione ha colpito la Romagna già messa in ginocchio dall’alluvione del maggio 2023.
La narrazione dell’ultradestra al governo è che la norma serve a dare “sicurezza” ai lavoratori che rimangono imbottigliati con le proprie auto dagli attivisti mentre stanno andando al lavoro.
Potenzialmente, però, a esser colpiti dalla norma potranno essere proprio quei lavoratori che difendono il proprio posto di lavoro contro le decisioni di multinazionali e grandi imprese di chiudere e magari spostarsi altrove.
O, ancora, gli studenti e le studentesse che fermeranno il traffico davanti alla scuola per protestare contro gli edifici fatiscenti o per l’ennesima morte di uno studente in alternanza-scuola lavoro, il sistema che prevede l’obbligo per gli alunni di prestare servizio gratuitamente presso aziende al fine di conseguire la maturità.
Non sono gli unici soggetti colpiti se provano ad affermare un proprio diritto con l’arma della protesta. Per i cittadini e i movimenti che cercano di impedire le grandi opere inutili alla cittadinanza, ma assai utili alle imprese, il “Ddl repressione” inserisce nell’ordinamento penale una aggravante che permette di punire i “colpevoli di protesta” col carcere fino a 20 anni.
Una norma che sembra scritta avendo in mente le manifestazioni di protesta contro il Ponte sullo Stretto, una mega-opera di cui si parla da decenni, destinando centinaia di milioni di euro a consulenti ed “esperti”, ma che le popolazioni di Sicilia e Calabria rifiutano, sottolineando ben altre priorità: misure contro la siccità, infrastrutture ferroviarie, ecc..
Anni di carcere vengono “promessi” anche a chi in carcere o nei Cpr (Centri per il rimpatrio dei migranti) si ribella alle durissime condizioni imposte da un sistema che costantemente disumanizza qualunque soggetto rimanga imbrigliato in esso (art. 18 e 19).
In Italia da anni diverse associazioni denunciano il sovraffollamento carcerario (che è costato all’Italia anche condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo) e situazioni che superano i confini della vivibilità. Non è un caso se continua ad aumentare il numero dei detenuti suicidi: 72 dall’inizio del 2024.
Come affronta il governo questo tema? Non solo con la promessa di più persone in carcere, ma soprattutto col divieto assoluto di protesta per chi è in detenzione. Il “Ddl Repressione” introduce l’articolo 415-bis che punisce la “rivolta all’interno di un istituto penitenziario” con la reclusione da 2 a 8 anni (e in alcuni casi fino a 20 anni).
Perfino la “resistenza passiva” viene trasformata in un crimine, punibile fino a 4 anni di carcere. Con questa norma sbatterebbero in galera anche le suffragette, Ghandi o Martin Luther King!
Sempre a tema carcere, il Ddl 1660 presenta il pugno duro finanche contro le detenute madri (art. 12): se fino a oggi c’era il trasferimento obbligatorio dal carcere per le madri con figli fino a un anno e per le donne incinte, d’ora in poi sarà a discrezione del giudice. Con la possibilità concreta, dunque, che il carcere si affolli anche di neonati. Se questa è la tutela della vita di madri e bambini che ha in mente l’ultradestra…
Per contro, il governo assegna più poteri, più protezione (art. 14 e 15), più libertà alle forze di polizia. Di fronte a movimenti che da anni rivendicano l’istituzione di codici identificativi per le forze dell’ordine, così da poter individuare eventuali responsabili di abusi in divisa, il governo risponde con la facoltà per le forze dell’ordine di detenere una seconda arma personale al di fuori di quella di ordinanza e al di fuori del servizio (art. 20), nonché l’autorizzazione a installare bodycam per i corpi di polizia, così da tutelare esclusivamente loro e non chi gli si trova di fronte.
La creatività dell’ultradestra si ferma quando i reati da inventare andrebbero a colpire imprenditori e colletti bianchi. Il ministro Nordio ha più volte ribadito la propria contrarietà all’introduzione del reato di “omicidio sul lavoro”, che riguarderebbe quegli imprenditori che con la propria condotta attiva o negligente dovessero causare “lesioni gravi e gravissime” o addirittura la morte di un proprio dipendente. A febbraio aveva affermato che «il reato di omicidio sul lavoro non è un deterrente sufficiente, sono contrario».
Allo stesso modo, il 17 settembre, il giorno precedente l’approvazione alla Camera del Ddl 1660, l’Ispettorato nazionale del lavoro, d’accordo con il Ministero del Lavoro, diramava una circolare con cui ben 39 violazioni degli imprenditori divenivano non più sanzionabili con multe monetarie, bensì con mere diffide e la semplice ingiunzione a mettersi in regola.
Secondo l’Osservatorio repressione, col Ddl 1660 entriamo in quello che viene definito «uno stato di polizia». Per di più, aggiunge l’associazione da anni impegnata nella battaglia a difesa delle libertà individuali e collettive e contro gli abusi in divisa, che il tutto avviene «col silenzio complice delle ‘opposizioni parlamentari’, le quali al di là di un voto contrario puramente di bandiera non hanno mosso un dito per contrastare realmente le nuove leggi ‘fascistissime’ […]. Anzi: su circa 160 parlamentari, al momento del voto alla Camera l’‘opposizione’ ne aveva in aula soltanto 91!!! Non solo: […] Pd e Movimento Cinque Stelle hanno presentato alcuni ordini del giorno (recepiti dal governo) che impegnavano quest’ultimo a incrementare la spesa per assumere nuovi agenti di polizia e guardie penitenziarie: l’ennesima riprova di come […] nella sostanza siano tutti uniti nella direzione di un inasprimento dei dispositivi repressivi, funzionale alla guerra e all’economia di guerra».
Il “Ddl Repressione” non è solo una stretta autoritaria del governo dell’ultradestra.
È un manifesto politico. Indica il nemico in specifiche categorie, così da direzionare la rabbia e la frustrazione che sempre più serpeggiano in ampie fasce della popolazione lontane dai reali responsabili.
Criminalizza la cultura della solidarietà, la partecipazione ai momenti di lotta che riguardano persone in difficoltà lavorativa o abitativa e promuovendo, al contempo, uno stile di vita fondato sul “mi faccio i fatti miei”, cioè sul totale isolamento e automizzazione.
Criminalizza il conflitto in sé e così facendo costituisce un attacco non solo alle libertà democratiche ma anche – e soprattutto – ai diritti sociali.
Perché i diritti non esistono semplicemente perché scritti su carta. Vanno esercitati. Difesi e allargati. Il governo dell’ultradestra formalmente li mantiene intatti. Tuttavia, trasforma in reato gli strumenti necessari alla concretizzazione di quegli stessi diritti, i mezzi necessari a farli scendere dai cieli dell’astrazione fin qui sulla terra della vita quotidiana delle classi popolari.
Questo articolo di Giuliano Granato (portavoce di Pap) è pubblicato in collaborazione con Canal Red, fondato e diretto da Pablo Iglesias
Nella foto: una protesta dei lavoratori della ex Whirlpool a Napoli prima della conclusione positiva della loro vertenza