A cento anni dalla nascita eventi e libri ricordano il grande critico cinematografico Morando Morandini. Questa sera, 3 ottobre, a Milano (ore 20 cinema Arlecchino in via San Pietro all’Orto) presentazione del libro 100 pezzi facili a cura di Luisa Morandini, già nelle librerie. Durante la serata ci sarà anche l’annuncio del Premio Morando Morandini al miglior libro di cinema italiano della stagione passata e in occasione dei 60 anni dall’uscita nelle sale, la proiezione del film Prima della rivoluzione di Bernardo Bertolucci con Morando Morandini attore. Left lo ricorda con il libro del mese (dal 4 ottobre) Morando Morandini critico di frontiera, con testi inediti, interviste e una selezione delle numerose recensioni pubblicate sulla rivista negli anni 2012, 2013 e 2014. E con una serie di ritratti fotografici di Francesca Fago. Qui pubblichiamo l’introduzione di Luisa Morandini.
Morando Morandini era nato a Milano, il 21 luglio 1924.
Orfano di madre e con padre prigioniero in India, comincia a lavorare prima dei 20 anni, mentre studia Lettere all’Università, come giornalista di cronaca all’Ordine, quotidiano cattolico di Como, dove riesce poi a realizzarsi, passando alla critica, come vice della latinista Bìce Scolari.
Da ragazzo aveva due passioni: i libri (soprattutto di letteratura angloamericana) e il cinema. Prima dei 30 anni riesce a far coincidere il suo lavoro con uno dei suoi due amori di ragazzo.
Entra a La Notte, dove redige con altri colleghi in una redazione assai vivace e stimolante la prima vera pagina degli spettacoli mai esistita su un quotidiano italiano.
Inventa le stelline per la critica ai film, ma anche i pallini per il successo di pubblico. Invenzione che l’ha poi perseguitato tutta la vita. Con una certa ironia del destino da La Notte, passa a Stasera (quotidiano che ebbe una vita sfortunatamente breve) e poi al quotidiano Il Giorno.
Negli anni scrive anche libri di cinema e monografie di registi, di poesia e qualche raro racconto. Indefesso appassionato del lavoro che faceva, nottambulo che lavorava quasi sempre fino alle prime ore del mattino – si autodefiniva «un pigro che lavora tantissimo» – mette in piedi con altri appassionati come lui diversi festival, collabora e fonda riviste specializzate.
«Fare il critico mi ha evitato di fare veramente il giornalista, mestiere che col passare degli anni sempre più detesto: tranne poche eccezioni, i giornalisti passano la prima metà della loro vita a scrivere di quello che non sanno, la seconda a tacere quello che sanno» ha detto con la sua tipica sagacia in un’intervista.
Quando sul finire degli anni Settanta – invasi dalle televisioni private – con Mario Nicolao ha deciso di mettere in piedi il settimanale Tele7 – la celebre piccola guida ai programmi tv ancora in vendita in edicola con successo tutt’oggi – mi ha proposto di collaborare alla creazione di un archivio di recensioni dei film che passavano sul piccolo schermo. Ho sempre avuto il sospetto che l’abbia fatto per tenermi lontana da una carriera di attrice che non condivideva. E così è cominciata una collaborazione tra noi che è poi durata una vita.
Nel 1998 abbiamo deciso di fare insieme, ogni anno, il Dizionario dei film con la casa editrice Zanichelli, impresa avventurosa e molto impegnativa. Abbiamo pubblicato 18 edizioni e io ho poi proseguito da sola – con un minuscolo gruppo di collaboratori – fino alla 27esima edizione, continuando la sua opera e cercando di trasmettere ad altri tutto quello che mi ha insegnato. Pur avendo un mio modo di scrivere, ho imparato a scrivere come lui, perché si è deciso fin dall’inizio di mantenere una unità stilistica nel nostro dizionario. Lavorare insieme è stato sfinente da una parte (la sua severità di giudizio era valida anche nei miei confronti, molto meno con i colleghi o eventuali giovani collaboratori): riuscire ad avere un plauso era tutt’altro che facile, l’invito a rileggere, riflettere, rifare, era continuo; e spesso l’assenza di commenti era da interpretare come un segnale di approvazione. Ma dall’altra parte è stata una scuola di professione e di vita unica, senza fondo e senza fine.
Pretendeva molto da sé stesso, ma anche dagli altri. La più grande soddisfazione che ho avuto è stata quando, ormai diversi anni fa, Morando ha ammesso di non saper riconoscere (sempre più spesso) le schede dei film scritte da lui dalle mie.
Ancora oggi, lavorando, rileggo quello che ha scritto e ogni volta mi colpiscono la capacità di sintesi (dono sempre più raro con il passare degli anni, quasi introvabile con l’invasione di internet, siti, blog, piattaforme e via dicendo), la scrittura elegante e colta, la sagacia, il rispetto che trapela per il lavoro degli altri (dei registi, degli autori, dell’intera troupe) ma anche per il lettore, la pacata ferocia con cui riusciva a volte, con poche parole, a stroncare un film. E sono numerosi i suoi colleghi contemporanei e successivi, a pensarla come me.
«È stato uno dei critici che ha aperto la strada a un rinnovamento culturale della professione. Ha imposto un modo nuovo di guardare i film. Mi ha insegnato a guardare i film con rispetto, anche quelli brutti, a dedicare la stessa attenzione passione intelligenza che si usa per i grandi capolavori» (Paolo Merenghetti).
«Basta leggere una recensione di Morando per accorgersi come le doti di un grande scrittore sono stornate e convogliate ai bisogni di un grande critico per raggiungere, istigare, informare, trovare un modo per rendere ogni volta l’esperienza del cinema un gesto di civiltà nel divertimento» (Silvio Danese).
Cosa posso aggiungere?
È stato il mio maestro, il mio giudice più severo, il mio capo, il mio collega.
Era mio padre.
In apertura: Morando Morandini, foto di Francesca Fago
Il libro di Left dal 4 ottobre per gli abbonati e da acquistare sul sito