Che nesso c’è tra delinquenza e malattia mentale? Si può parlare di sanità mentale laddove c’è violenza di esseri umani su altri esseri umani? A partire dagli ultimi casi di cronaca nera, le riflessioni di un ex magistrato e studioso
Qualche giorno fa sono stato invitato dall’editore di Left, Matteo Fago, a partecipare ad un incontro pubblico e ad una nuova iniziativa del suo giornale (l’ennesima a dire il vero) denominata “Left talk”, una serie di podcast aventi ad oggetto temi di rilevante interesse sociale e culturale sui quali gli ospiti sono chiamati ad esprimere le proprie opinioni sulla base delle diverse competenze professionali o esperienze personali.
L’occasione, manco a dirlo, è stata quella di un nuovo terribile caso giudiziario che i media hanno chiamato “La strage di Paderno Dugnano”, dal nome della località ove si è verificato il fatto, ovvero un comune di quasi 50mila abitanti a poco più di 10 chilometri da Milano dove il figlio diciassettenne, nella villetta familiare, ha ucciso con un numero spropositato di coltellate padre, madre e fratellino di 12 anni.
Insieme a me, oltre a Simona Maggiorelli (infaticabile direttrice di Left) e Marina Parrulli (ottima conduttrice del programma coadiuvata dal suo staff tecnico) c’era un vecchio amico e compagno di viaggio nella esplorazione delle sperdute terre di confine tra psichiatria e giustizia: lo psichiatra Andrea Masini, direttore della rivista Il sogno della farfalla. Sentendoci per qualche minuto la sera prima del programma (tanto per non “pestarci i piedi”) ci siamo immediatamente ricordati di quanto era accaduto in occasione del convegno che si tenne al Teatro Mercadante di Napoli nel giugno del 1996 dal titolo “Fantasia di sparizione formazione dell’immagine idea della cura”.
In quella occasione Masini aveva letto la sua relazione dal titolo “Normalità e follia: l’identità dello psichiatra” alla quale era seguito un vivace dibattito cui avevano preso parte, oltre a Massimo Fagioli, molti altri psichiatri e anche qualche “non addetto ai lavori” tra cui il sottoscritto.
Fu in quella occasione che gli rivolsi una domanda, spinto da una curiosità che sorgeva dalle difficoltà che avevo incontrato nel mio lavoro di sostituto procuratore della repubblica della Procura di Roma tutte le volte che mi ero imbattuto nella necessità di affidare un incarico peritale ad uno psichiatra.
Questo articolo è riservato agli abbonati
Per continuare la lettura dell'articolo abbonati alla rivista
Se sei già abbonato effettua il login