Sulla manifestazione pro Palestina che si è svolta il 5 ottobre sarà necessario fare un ragionamento più approfondito nei prossimi giorni, ma a caldo alcuni punti sono, ad avviso di chi scrive, fondamentali, da chiarire subito. Il primo riguarda ciò che sta accadendo a Gaza: oltre 40mila civili sono stati uccisi dalle milizie israeliane. Molti di loro sono minorenni e bambini. Sacrosanto manifestare contro tutto questo pacificamente. Lo garantisce la Costituzione. Ma oggi si è tentato di annullare gli spazi democratici in Italia. Il ministro Piantedosi si era assunto la responsabilità di vietare la piazza, utilizzando non esplicati problemi di ordine pubblico che sarebbero potuti insorgere. La decisione era politica: in prossimità dell’anniversario della strage di civili compiuta da Hamas il 7 ottobre, e anche per le prese di posizione di alcuni fra i promotori della manifestazione, la decisione presa al Viminale è stata quella di impedire la mobilitazione. Col risultato che, al di là del comitato promotore, in molte e molti, hanno deciso di scendere egualmente in piazza sfidando il divieto, ritenendo violato uno dei principi cardine della democrazia, la libertà di esprimere le proprie opinioni. Arci Roma, Non una di Meno, la Rete “No Bavaglio”, Rifondazione Comunista, ed altre/i a titolo collettivo o individuale, hanno scelto di esserci. E piazzale Ostiense, totalmente accerchiata dalle forze dell’ordine presenti in maniera massiccia, è stata, dalle prime ore del pomeriggio, un luogo in cui manifestanti di ogni età e di diversa appartenenza, nonostante l’iniziale pioggia battente, hanno cominciato ad affluire. Le frasi, gli striscioni, i cartelli parlavano di solidarietà verso i popoli del Medio Oriente, non solo quello palestinese, ma anche in Libano, in Yemen.
Quello che abbiamo visto con i nostri occhi oggi in piazza è uno stare in piazza pacifico, non violento, di uomini e donne indignate che chiedevano soprattutto il cessate il fuoco ed una soluzione ad un conflitto che dura da ormai 76 anni.
In mattinata era giunta, informalmente l’autorizzazione ad un presidio stanziale in piazzale Ostiense. Le stesse dichiarazioni rese dal nuovo questore di Roma, giovedì 3 ottobre e il cauto segnale dello stesso Piantedosi, perfino lasciavano ben sperare. Ma la limitazione della presenza in piazza era già stata predisposta ai più alti livelli: pullman fermati ai caselli autostradali e rimandati indietro, circa 40 fogli di via emanati verso persone che si apprestavano a venire a Roma, posti di blocco ed identificazioni in tutta la città, ad oggi circa 1600 le persone di fatto schedate senza che a nessuno di loro potessero essere imputati reati quali il possesso di armi improprie o altri elementi in grado di nuocere alla sicurezza nazionale. Ad alcuni pullman è stato impedito di partire, ad uno, proveniente dalla Versilia e noleggiato da ragazzi dei centri sociali, è stato letteralmente imposto di tornare indietro. E ci vengono segnalati molti casi simili. Fra i tanti episodi da segnalare quello di un pullman di linea – sono stati fermati anche quelli – proveniente da Napoli, da cui è stato fatto scendere dopo i controlli un ragazzo che aveva come unico “neo” quello di avere un nome e cognome arabo. Nessuna altra ragione, è stato appurato, ha condotto a tale provvedimento di chiara impronta razzista. Verso le 16, al momento di massimo afflusso, almeno 8000 persone erano presenti ed in maniera tranquilla.
Il comitato promotore ha provato a trattare con le forze dell’ordine la possibilità di fare un corteo e ad un certo punto si era anche diffusa la voce che si sarebbe potuto svolgere. Così non è stato. Per oltre un’ora i manifestanti hanno improvvisato un corteo all’interno della piazza con striscioni e slogan, mentre, soprattutto la polizia, si preparava in modalità antisommossa.
La tensione saliva ma, vuoi la stanchezza, vuoi il fatto che chi era venuto per protestare contro il divieto di manifestazione e contro l’imminente approvazione in Senato – alla Camera è già passato – del ddl 1660, in molte e molti hanno lasciato la piazza. È iniziato allora un curioso corteo attorno al perimetro della piazza in cui sembrava si cercasse il pertugio da cui poter uscire in massa. Lo scontro fra un gruppo di giovanissimi manifestanti e agenti della Guardia di finanza, ha dato il la al lancio di lacrimogeni e all’utilizzo di idranti che hanno colpito molte e molti di coloro che erano rimasti, pacificamente nella piazza. Mentre scriviamo si contano almeno 5 manifestanti fermati durante gli scontri, uno dei quali sarà processato per direttissima. Almeno 3 quelli feriti, ma in numerosi hanno rifiutato di recarsi in strutture ospedaliere per non rischiare l’arresto. Le forze dell’ordine denunciano invece che una trentina di agenti avrebbero riportato contusioni, effetto che stupisce guardando anche le riprese degli scontri. Sempre fra i manifestanti il tam tam in tutta Italia racconta di fermi, ulteriori fogli di via e di sanzioni rivolte soprattutto a ragazzi di origine araba.
Le forze della destra cercano già di strumentalizzare quanto avvenuto e che certamente andava evitato. Certo che il confronto con l’immensa mobilitazione londinese, oltre 200 mila persone, per la pace in Palestina, dovrebbe costringere a comprendere come si debba lavorare per la costruzione di un ampio schieramento pacifista. La piazza romana sarà riconvocata sabato prossimo dalla Comunità palestinese di Roma e del Lazio che non ha condiviso la piattaforma del 5 ottobre ed ha scelto di definire un proprio manifesto su cui aggregare più forze. Il movimento pacifista sta ragionando per una giornata nazionale – le cui modalità andranno definite ma che non confluiranno in una scadenza nazionale – che si terrà il 26 ottobre, come primo passo per la ricostruzione. C’è insomma da lavorare e il tempo stringe perché nel frattempo, il rischio di un ulteriore allargamento del conflitto in Medio Oriente sembra sempre più vicino.
L’autore: Stefano Galieni è giornalista, politico attivista Prc ed esperto di politiche della migrazione