Nell'opera in scena al Teatro dell'Opera di Roma fino al 23 ottobre, la compositrice Silvia Colasanti e lo scrittore Erri De Luca ricreano la figura del leggendario marinaio Sindbad come un capitano che trasporta «migratori e migratrici verso il nostro occidente chiuso a filo spinato

Al Teatro dell’opera di Roma il 16 di ottobre è andato in scena, in anteprima mondiale, l’opera di Silvia Colasanti L’ultimo viaggio di Sindbad – racconto musicale in sette quadri con libretto di Fabrizio Sinisi liberamente ispirato a testi di Erri De Luca per la regia di Luca Micheletti ( in scena fino al 23 ottobre). Commissionata alla compositrice dal Teatro dell’Opera di Roma, e trasmesso in diretta da Rai radio 3, era uno degli eventi più attesi della stagione. La Colasanti rappresenta una figura da tempo affermata in tutto il mondo nel panorama della musica contemporanea (e specialmente nel campo dell’opera e del teatro musicale). Dal 2018 l’autrice collabora con il Festival dei Due Mondi di Spoleto, dove ha presentato in quell’occasione Il minotauro e, l’anno successivo, Proserpine (gli autori del libretto di entrambe le opere erano René de Ceccatty e Giorgio Ferrara), dal 2022 insegna composizione al Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma e nel 2023 il Teatro alla Scala le ha commissionato (onore tributato per la prima volta a una compositrice) l’opera Anna A. (su libretto di Paolo Nori), dedicata alla figura della poetessa russa Anna Achmatova, presentata al pubblico a settembre di quest’anno.

Al centro del libretto di Sinisi vi è la figura di Sindbad, vagamente ispirata a quella de Le mille e una notte, ma calata nel mondo contemporaneo. L’avventuroso marinaio mediorietale, interpretato dal baritono Roberto Frontali, questa volta è al timone di una nave che trasporta migranti dalle coste dell’Africa verso l’Europa. «Capitano Sindbad, è bella L’europa?” – chiede una passeggera cieca. “(..) Sembra / la giungla o il mare / piena di sogni / belli e feroci. / Regna una legge / senza perdono, / grande mercato / che non ha pietà: / vince il più forte. / Guardi la gioia / di là da un vetro, / dentro uno schermo / che sembra un muro” – risponde il capitano nel secondo quadro (Le sorelle).  E l’inquisitrice replica “L’Europa è come questa nave: / acqua dappertutto / ma neanche una goccia da bere».

La compositrice Silvia Colasanti, foto di Fabrizio Sansoni

Il primo dei sette quadri in cui è strutturato questo “racconto musicale” è preceduto da un prologo in cui nottetempo i passeggeri salgono sulla nave (“è finita l’Africa. / È cominciato il mare” canta il coro dei bambini). Ad accogliere i passeggeri c’è un accigliato capitano («Malvenuti a bordo. / Sono Sindbad, il Capitano. / Vi porterò in bocca all’Occidente. / Su questa nave faccio io le leggi / e chi sgarra lo butto nel mare», dichiara all’apertura del primo quadro, La notte). Poco dopo la partenza del battello, la voce dei passeggeri raccontano le tragedie che si erano lasciati alle spalle: un soldato toglie la vista a una donna che non voleva obbedire al suo comando, un disertore uccide un suo compagno d’armi alle spalle. Nei quadri successivi l’equipaggio attraversa alcune tragiche vicissitudini: prima una tempesta, poi il parto di un bambino morto che viene gettato in mare. Il tragico epilogo di questo viaggio è solo accennato dal coro dei bambini nel finale («Siamo gli innumerevoli, raddoppio a ogni casa di scacchiera lastrichiamo di scheletri il vostro mare per camminarci sopra. Non potete contarci, se contati aumentiamo»).

La partitura della Colasanti segue l’andamento del testo, i suoi passaggi ora lirici ora narrativi, i suoi riferimenti ora a fatti concreti, ora a sentimenti, quali la nostalgia, la rabbia, l’angoscia, suggeriti dal libretto. L’autrice, che in diverse occasioni ha dimostrato di padroneggiare perfettamente il linguaggio della musica contemporanea, imbastisce un raffinato tessuto sonoro al servizio della macchina scenica. La stessa Colasanti, a proposito, ha scritto: «grande protagonista musicale è proprio il mare, evocato con i suoni nei suoi diversi aspetti. Così esso diviene di volta in volta minaccia nella burrasca, stilizzata attraverso fasce sonore magmatiche e astratte, senza tempo, liquida culla a cui affidare il bambino che viene partorito morto, accompagnato dalla mamma con una ninna nanna antica sostenuta da un’orchestra tramutata in una grande tiorba».

Un ruolo di primo piano è affidato al coro, «impegnato in un ordito contrappuntistico di tipo madrigalistico, che in base alle esigenze del momento scenico si fa personaggio o moderno coro greco, intento a commentare le azioni in scena», spiega l’autrice stessa.

Nel racconto convergono e si intrecciano diverse tradizioni culturali e musicali, che Colasanti ha saputo mirabilmente fondere all’interno di una orchestrazione ricca di spunti sonori, timbri e tonalità provenienti anche da diverse tradizioni musicali. «Il flusso musicale racconta di passeggeri che arrivano da un “altrove” volutamente non definito, in cui strumenti tradizionali di culture diverse dialogano con l’orchestra e la scrittura vocale accoglie inflessioni ed echi popolari accanto alle forme di matrice operistica», annota Colasanti.

Lo scrittore Erri De Luca

Concepire e realizzare uno spettacolo omogeneo e compiuto dal punto di vista drammaturgico a partire da così diverse fonti di ispirazione musicale, diverse tradizioni e diverse radici culturali, un’opera nella quale potessero convergere e convivere riferimenti a Le mille e una notte, ma anche alla Bibbia e al Corano (citati nelle rispettive lingue originali) accanto a Omero e Dante («nostre vite saranno i vostri libri d’avventura. / Portiamo Omero e Dante, il pellegrino e il cieco” – canta il coro dei bambini nel finale), insieme a cenni allo scottante problema contemporaneo delle migrazioni e dei migranti (“Siamo venuti scalzi, senza sentire spine, pietre. / Faremo i servi, i figli che non fate» – sono alcuni versi del citato coro finale), sulla carta non era affatto un compito semplice.

Il merito dell’autrice a mio avviso è proprio quello di avere trovato una unica chiave stilistica musicale personale, che sorregge l’intero spettacolo e, allo stesso tempo, lo rende fruibile anche a un pubblico più vasto.  «Silvia Colasanti riesce a trovare nel linguaggio musicale una perfetta sintesi che non ignora la complessità di scrittura e le sperimentazioni dello scorso secolo, e che – allo stesso tempo – è capace di parlare a un pubblico vasto e non limitato agli addetti ai lavori» dice il direttore dell’orchestra Enrico Pagano.

Occorre infine menzionare anche le scene, a cura di Leila Fteita; la sua scenografia, che richiama quella del ponte di una nave, ma attraverso prospettive deformate che chiamano alla memoria quelle del teatro e del cinema espressionisti, risulta un elemento fondamentale dello spettacolo. La scelta di tagliare in orizzontale la scena, suddividendola in due piani, quello superiore dove entra in scena il capitano e quello inferiore dove compaiono i passeggeri, offre una rappresentazione plastica e immediatamente comprensibile della gerarchia sociale che regna sulla nave. La scelta dei costumi, a cura di Anna Biagiotti, mette in risalto la differenza tra il coro dei bambini, che appaiono come ragazzi di oggi, e i personaggi, vestiti in abiti teatrali di ispirazione mediorientale. Un contrasto evidentemente voluto, per offrire allo spettatore l’immagine di un viaggio allo stesso tempo antico e contemporaneo.

Il gruppo, di cui fanno parte i 27 musicisti dell’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma, dà vita a uno spettacolo intenso, che a tratti incanta e a tratti commuove, ma che non elude i temi scottanti del mondo contemporaneo.

 

L’autore: Lorenzo Pompeo è slavista, traduttore, scrittore e. docente universitario. E’ appena uscito il suo nuovo testo teatrale “La caduta di Gomerosol” con la premessa di Marco Belocchi