Maysoon Majidi è nata in Iran. Nel 2019 con suo fratello scappa nella Kurdistan iracheno per sfuggire a un mandato di arresto. La sua colpa? I diritti. Ci sono Paesi in cui la difesa dei diritti costa nel migliore dei casi il carcere e nel peggiore la vita.
In Iraq persevera nel suo impegno, con l’associazione Hana. Quando non le viene rinnovato il permesso di soggiorno capisce subito che sarebbe stata un boccone prelibato per gli sgherri iraniani di Ali Khamenei. Decide di partire. Attraverso la Turchia fino alle coste del crotonese.
Sulle coste crotonesi insieme ad alcuni compagni di sventura attracca in un Paese – il nostro – con l’ossessione di scovare scafisti in tutto l’orbe terraqueo. Così basta che alcune persone delle forze dell’ordine traducano poco e male le testimonianze dei suoi compagni di viaggio per essere accusata di essere l’aiutante del capitano, quindi scafista anche lei.
La prova regina sarebbe che Majidi distribuiva acqua durante il viaggio, evitando che i migranti venissero cotti dal sale e dal sole. Ci vuole una gran fantasia per convincersi che una donna a rischio della propria vita per la difesa dei diritti umani decida di arruolarsi nella criminalità organizzata per qualche spiccio da guadagnare con una traversata.
Il 31 dicembre dell’anno scorso viene arrestata e sbattuta in carcere. Lei reclama la sua innocenza, arriva a pesare 38 chili per uno sciopero della fame. Più della condanna teme ovviamente il rimpatrio in Iran.
Dopo quasi 11 mesi ieri il tribunale di Crotone ha accolto l’istanza del suo avvocato e Maysoon Majidi ha potuto dormire da donna libera, in attesa della sentenza di assoluzione che dovrebbe arrivare il 27 novembre. Ah, gli scafisti.
Buon giovedì.
Foto dalla pagina facebook Maysoon Majidi