Dieci giorni vissuti a fianco di pastori, agricoltori e cittadini palestinesi minacciati dai coloni e dai soldati israeliani, tra improvvisi posti di blocco e la tensione crescente. Il racconto di un volontario che per Assopace Palestina ha aderito alla richiesta d’aiuto lanciata da Ramallah
QUSRA - Faz3a (Fazha, in arabo aiuto) è il nome della campagna lanciata nel luglio scorso da Ramallah dal Coordinamento delle lotte popolari in Palestina che ha chiesto alle organizzazioni internazionali l’invio di volontari per la protezione della popolazione civile in Cisgiordania. Assopace Palestina ha aderito subito e io e una compagna di Milano, Elena Castellani, siamo partiti il 20 agosto. Quello che segue è un resoconto del viaggio in cui tento di restituire il senso della mia esperienza, quello che ho visto, quello che ho imparato, l’amore per quella gente e per quella terra. Al nostro arrivo a Ramallah, mercoledì 21, il primo giorno è occupato dal training presso la sede del Coordinamento dei comitati popolari. Siamo una quindicina di persone, la maggior parte cittadini americani. Il training si rivelerà utilissimo: ci spiegano l’abc della lotta pacifica non violenta, il tipo di azione che faremo, le tecniche di de-escalation nelle situazioni di conflitto. Ci mostrano le divise indossate dai vari corpi militari, i loro mezzi di trasporto, i tipi di arma in dotazione e i relativi proiettili. Poi ci spiegano le regole: ogni azione va discussa e decisa collettivamente, se non si è d’accordo ci si può esimere dal farla; prima di metterla in pratica va designato un “decisore di emergenza”, una persona cioè che decide il da farsi nelle situazioni impreviste. Ci informano infine sugli aspetti legali, come comportarsi in caso di fermo o arresto, ricordando i nostri diritti fondamentali: non rispondere, richiedere l’assistenza di un avvocato. Io, Elena ed altri cinque veniamo assegnati al Comitato di resistenza popolare di Qusra, una cittadina di circa cinquemila abitanti, a 15 km a sud-est di Nablus, letteralmente assediata dagli insediamenti israeliani (vengono sempre costruiti sulla cima delle colline, per poter controllare le valli). Siamo alloggiati nella “casa degli internazionali”, un edificio spartano dentro e fuori, in cima alla collina che fronteggia i due insediamenti di Esh Kodesh ed Ehiya. Ad accoglierci c’è Abed Wady, una persona di grande umanità, leader politico della cittadina. Abed è il punto di contatto fra noi e la comunità locale nonché il nostro riferimento operativo nelle azioni quotidiane.
Il pastore palestinese Salah mostra la sua carta di identità ai soldati israeliani (foto Mannino Bordet)

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