A Genova e a Torino, due mostre accendono i riflettori sul talento sensibile dell’artista, unica donna del gruppo impressionista e che ne rifiutò il razionalismo. Nei soggetti femminili, la pittrice coglie il movimento interiore, la fusione fra psichico e fisico. Non è interessata alla figura retinica ma all’immagine
A vari lustri dalla nascita dell’impressionismo la pittrice Berthe Morisot (1841-1895), unica donna ad esporre (e con grande scandalo) nello studio di Nadar nella mostra che il 15 aprile 1874 segnò la nascita del movimento, trova finalmente l’attenzione che merita, anche in Italia, con una doppia occasione di incontro dal vivo con la sua opera: la mostra Impression Morisot in Palazzo Ducale a Genova (fino al 23 febbraio) e Berthe Morisot, pittrice impressionista, alla Gam di Torino (fino al 9 marzo).
Finalmente si mette in primo piano il suo lavoro e la sua originale ricerca, presentando un’ampia selezione delle sue numerose opere (il corpus complessivo ne conta circa cinquecento). Fin qui in letteratura si è parlato molto e soprattutto della sua biografia, molto significativa per una storia delle donne, a partire dallo scritto folgorante che le dedicò Anna Banti in Quando anche le donne si misero a dipingere (ripubblicato nel 2011 da Abscondita) in cui la storica dell’arte e scrittrice scavò nel rapporto ambivalente che Édouard Manet instaurò con la giovane artista. Da geniale pittore quale era, seppe cogliere la vibrante presenza femminile di Berthe in celebri quadri come Le Balcon (che nel 1869 fu presentato al Salon) e in ritratti come l’indimenticabile Berthe Morisot con un mazzo di violette ( 1872), in cui spiccano la bellezza elegante e lo sguardo vivo della pittrice che si era prestata a fargli da modella. Mai Manet la ritrasse con i pennelli. Come invece Berte si auto rappresenta in un emozionante autoritratto del 1885 ora esposto in mostra alla Gam di Torino.
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