Da ormai più di un anno è in corso l’ennesimo conflitto in Medio Oriente, e dopo la tragedia di Gaza si sono aperti altri fronti. Siamo arrivati ora all’invasione nel sud del Libano, ma tra fine agosto e inizio settembre il movimento dei coloni israeliani è tornato a colpire in maniera più intensa - come faceva prima del 7 ottobre - la Cisgiordania, soprattutto la zona di Tulkarem e il campo profughi di Nour Chams. I luoghi portano memoria degli avvenimenti, e in questo caso rimandano ciclicamente al punto d’origine del conflitto, fra 1947 e 1948, con la Nakba, l’esodo forzato e le prime persecuzioni della popolazione palestinese. Ma tutto ciò è diventato anche memoria letteraria: proprio in quelle stesse località è ambientata una parte importante di Étoile errante, bellissimo romanzo del premio Nobel Jean-Marie Gustave Le Clézio, pubblicato in Italia da Il Saggiatore con il titolo Stella errante.
Il romanzo fu pubblicato nel 1992, e vinse il premio della Lega internazionale per i diritti dell’uomo. Lo scrittore aveva iniziato a lavorarci sull’onda della prima guerra in Libano nel 1982, e poi della prima Intifada nel 1987. Le Clézio pubblicò su rivista due racconti relativi alla situazione palestinese durante la Nakba (dopo essersi documentato grazie ai lavori di storici israeliani che demitizzavano la fondazione dello Stato ebraico, come Ilan Pappé): Hanné nel 1987 e Camp de Nour Shams, été 1948 nel 1988. Il secondo testo si rivelerà poi uno dei capitoli della parte centrale del romanzo. Come oggi, già allora il dibattito vedeva una contrapposizione miope, che perde il contatto con il lato umano che invece la letteratura ha la capacità di far emergere, al di là di altri aspetti di ordine geopolitico, strategico e militare. Le Clézio venne attaccato con forza da sionisti radicali, fra questi anche il filosofo Bernard Henri Levy che oggi, intervistato da Piazzapulita su La7, ha sostenuto che i numeri riportati sulle morti a Gaza sarebbero stati gonfiati, e che ogni colpa andrebbe attribuita ad Hamas, senza responsabilità per il governo di Tel Aviv, che sempre secondo lui starebbe agendo in piena moralità. Ma notiamo anche - come già Le Clézio in alcune interviste dei primi anni 2000 - che il romanzo non venne tradotto in ebraico, mentre ha ricevuto grande attenzione nel mondo arabo moderato, in cui da subito alcune voci, come Tahar Ben Jelloun (un articolo del 28 ottobre 1988 su Le Monde), riconobbero in quelle pagine un’opera di testimonianza del dolore, senza distinzioni di confini e popoli.
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