Nella vittoria di Trump Elon Musk non è solo l’imprenditore eccentrico e visionario, è il miliardario che ha trasformato la sua influenza in un motore politico capace di spostare masse e determinare risultati.
Con la sua super PAC “My America PAC” — un comitato di azione politica che può raccogliere e spendere somme illimitate di denaro per sostenere candidati senza coordinarsi ufficialmente con le loro campagne — Musk ha diretto l’operazione di mobilitazione elettorale più massiccia mai vista, spendendo oltre 175 milioni di dollari per raggiungere quasi 11 milioni di elettori nelle zone chiave. Mentre Trump affidava il suo destino politico a un outsider, Musk dettava le regole di un gioco che la democrazia americana stenta a riconoscere. Canvassers, ossia volontari o professionisti incaricati di contattare gli elettori porta a porta, venivano pagati, con bonus per reclutare voti, persino incentivi economici mascherati da appelli al patriottismo: tutto pur di accendere un riflettore su un sistema dove la voce di chi ha denaro urla più forte di quella degli elettori.
Il connubio tra Trump e Musk non è solo un’alleanza elettorale. È la prova che la politica si è fatta spettacolo per pochi ricchi protagonisti, e Musk — con la sua piattaforma X trasformata in megafono personale — ne è il regista e attore principale. Le tattiche sfacciate, dagli incentivi al controllo delle operazioni sul campo, mostrano come le campagne politiche si stiano trasformando in laboratori per esperimenti finanziati da miliardari.
“Una stella è nata”, ha detto Trump tra applausi e sorrisi, mentre Musk pianificava già le prossime mosse per influenzare le elezioni di midterm. E così, in un’America sempre più strattonata tra potere e capitale, resta una domanda inquietante: quanto è lontana la democrazia quando la politica diventa l’affare personale dei miliardari?
Buon giovedì.