Qual è l’attualità della Federazione laburista? A distanza di trent’anni dal congresso costitutivo (4-6 novembre 1994) della forza politica – presidente Valdo Spini -, oggi, 18 novembre, si tiene un incontro a Firenze (ore 16 presso lo Spazio Rosselli, via degli Alfani 101 rosso). Partecipano Fabio Martini inviato de La Stampa, Anna Salfi già sindacalista e presidente della Fondazione Altobelli, Roberto Speranza deputato ed ex ministro, Francescomaria Tedesco associato di filosofia politica all’Università di Camerino, Pierluigi Regoli già segretario dei giovani laburisti. Presiede Valdo Spini. Durante l’incontro verrà presentato il sito che raccoglierà i documenti della Federazione laburista, partito attivo fino al 1998. I documenti della direzione centrale della Federazione Laburista sono conservati nell’archivio storico della Camera dei Deputati che ne sta predisponendo un riordino in vista di una pubblicazione del relativo regesto.
Ecco alcuni brani della presentazione di Valdo Spini.
Trent’anni fa, dal 4 al 6 novembre 1994 si svolgeva al Palazzo dei congressi di Firenze l’Assemblea costituente della Federazione Laburista. Una struttura agile, di tipo federativo che riuniva varie componenti come Rinascita Socialista di Enzo Mattina.
La Costituente Laburista intendeva rispondere alla crisi, ormai manifesta, del Psi. Nelle elezioni politiche generali del 27 marzo 1994, nella quota proporzionale, il Psi aveva ricevuto il 2,19% dei voti e nelle successive elezioni europee del 12 giugno, era addirittura sceso all’1,83%.
Era necessario quindi quello che chiamammo un nuovo inizio. Un fresh start come mi disse, incoraggiandomi, uno dei leaders laburisti Robin Cook, quel ministro che poi si dimise in dissenso con Blair sull’intervento in Iraq.
Era un periodo di intensa modificazione del panorama delle forze politiche. Al congresso di Rimini del 1991 il Pci aveva completato la sua trasformazione in Pds, assunto come simbolo la quercia alla cui base era stato collocato il vecchio simbolo del Pci con la falce e martello, mentre la Dc, di cui Mino Martinazzoli aveva assunto la segreteria, si trasformava in Partito popolare italiano (l’antico nome di don Luigi Sturzo) proprio prima delle elezioni, nel gennaio 1994.
Pensammo allora, già nel luglio di quell’anno 1994, con molti compagni e compagne, che anche il Psi, il partito più in difficoltà tra quelli tradizionali, avrebbe dovuto essere capace di un vero cambiamento, scegliendo un nuovo nome, che appartenesse alla tradizione socialista europea, ma che segnasse una visibile discontinuità con quella italiana. Ci sembrava appropriato il nome laburista, il partito protagonista storicamente di quella che Piero Calamandrei aveva chiamato la rivoluzione socialista in Gran Bretagna (1945-1951), la più alta e concreta realizzazione del Socialismo liberale teorizzato da Rosselli. Del Labour party aveva appena assunto nel precedente luglio la leadership il giovane Tony Blair, che doveva riportarlo alla vittoria nelle elezioni politiche del 1997 in Gran Bretagna.
In Italia, nelle elezioni politiche del marzo aveva vinto Berlusconi alla guida del Polo delle libertà che nell’uninominale della quota maggioritaria aveva raggruppato Forza Italia, Alleanza nazionale e Lega Nord, e battuto i Progressisti di Occhetto e il Patto per l’Italia di Martinazzoli-Segni, presentatisi separatamente. Ci sembrava che un’unità delle forze di centro-sinistra potesse partire proprio dai tre sindacati Cgil, Cisl, Uil. Riservammo una tavola rotonda della Costituente proprio alle tre centrali sindacali. La Cgil venne rappresentata da Guglielmo Epifani.
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In una situazione di disorientamento provocato dalla vittoria di Berlusconi e dalla sconfitta delle forze di centro e della sinistra, da un lato noi ci proponevamo un’azione di recupero di quell’elettorato socialista che di fatto non si era sentito rappresentato nelle elezioni politiche del 1984. Dall’altro, in un contesto così radicalmente nuovo, intendevamo esercitare una funzione di stimolo verso la sinistra democratica e in particolare verso il Pds perché facesse sul serio e fino in fondo la scelta della costruzione di un grande partito socialdemocratico o laburista come quelli che si stavano avviando a governare gran parte dell’Europa nella seconda metà degli anni Novanta. Partiti ad un tempo riformisti e radicati sul territorio.
Si ricorderà che nel dicembre 1992, all’Aja era stato costituito il Pse, Partito del socialismo europeo, di cui sia il Psi di Bettino Craxi che il Pds di Achille Occhetto erano stati cofondatori.
Non era quindi né pensabile né possibile ripercorrere all’indietro la strada elettorale del Psi, ma volevamo comunque costituire un punto di aggregazione che non disperdesse la tradizione socialista italiana pur nel contesto di un panorama politico nuovo. Era una condizione indispensabile perché un grande partito del socialismo europeo in Italia non nascesse solo come trasformazione del vecchio Pci. Ecco perché nell’anno successivo, 1995 presentammo dove potemmo liste laburiste ed eleggemmo in particolare in Toscana e in Basilicata, sia consiglieri regionali che comunali. In Puglia eleggemmo un nostro consigliere con una lista Laburisti-repubblicani-socialdemocratici. Ottenemmo un buon risultato anche in Umbria, ma non tale da conseguire un seggio.
Nelle elezioni politiche del 1996, che videro la vittoria dell’Ulivo di Romano Prodi, potemmo rieleggere od eleggere più di una decina di deputati e di senatori nei collegi uninominali, grazie ad un accordo con il Pds di cui era nel frattempo diventato segretario Massimo D’Alema.
La strada per la costruzione di un grande partito del socialismo europeo in Italia sembrava tracciata e nel febbraio del 1998 furono indetti a Firenze agli Stati generali della sinistra, che dettero vita ai Ds, togliendo dalla base della Quercia il simbolo del Pci e sostituendolo con quello del Pse, partito del socialismo europeo. La Federazione Laburista, che nel frattempo si fu tra i cofondatori firmatari della costituzione del nuovo partito, con Pds, Cristiano sociali, repubblicani di sinistra, comunisti unitari. Nella partecipazione agli Stati Generali ci eravamo federati con altre associazioni politiche della nostra area, tra cui quella di Giorgio Ruffolo.
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Nel gennaio 2000 i Ds celebrarono il loro primo congresso nazionale a Torino. Segretario era diventato Walter Veltroni dopo che Massimo D’Alema aveva lasciato il partito per assumere la presidenza del Consiglio. Largo spazio venne dedicato nel dibattito congressuale anche al riferimento ai Rosselli e al socialismo liberale, simboleggiato dal saluto che al congresso portò Alberto Rosselli, purtroppo recentemente mancato. Seguirono atti simbolici ma significativi, come l’intitolazione della sezione di Figline di Prato ai fratelli Rosselli, con una manifestazione cui parteciparono lo stesso Veltroni e chi vi parla nel frattempo eletto presidente della Direzione. Ma nel 2001 arrivò la sconfitta elettorale del centro-sinistra guidato da Francesco Rutelli, per effetto del ritorno della Lega Nord all’alleanza con Berlusconi. Walter Veltroni si candidò e fu eletto sindaco di Roma e lasciò la segreteria del partito. Cominciò nei Ds quel processo che doveva portare al Partito democratico, ma con modalità che di fatto ci escludevano.
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Oggi quale attualità riveste il nome laburista? Certo tutti noi guardiamo con speranza e partecipazione all’azione del nuovo governo laburista britannico di Keir Starmer, la cui vittoria ha rappresentato uno dei pochi momenti in controtendenza nel socialismo europeo, anche se purtroppo in una nazione fuori dall’Unione per effetto della Brexit.
Ma l’elemento significativo è un altro, è l’ancoraggio al lavoro. Il termine laburista ricorda che in quest’epoca di sconvolgimenti politici e sociali, c’è un ancoraggio solido che deve caratterizzarci, quello al lavoro, al suo sviluppo, alla sua tutela, in tutte le sue forme di lavoro dipendente e autonomo, per affermare una reale parità di genere, per restituire la sua attrattività in patria per i giovani italiani che vedono migliori prospettive all’estero.
Le delocalizzazioni e la concorrenza al ribasso sul mercato del lavoro ci hanno fatto passare l’illusione che la globalizzazione portasse di per sé un miglioramento delle condizioni della classe lavoratrice e dei ceti medi. Oggi la questione dei salari reali nel nostro Paese, dopo il triennio nero 2021-2023 che li ha visti falcidiati dall’inflazione, è centrale sia per il rilancio dei consumi e quindi della domanda interna, che per la stessa coesione sociale del nostro paese.
Una politica centrata sul lavoro non può che essere riformista, un riformismo inteso alla maniera di Giacomo Matteotti, di cui ricordiamo quest’anno il centenario, cioè un riformismo mirato non solo alla propaganda politica ma anche al miglioramento concreto delle condizioni di chi lavora e di chi produce, in un’adesione alla loro problematica.
Se quindi le azioni che ci proponiamo intendono essere un contributo magari piccolo ma indubbiamente significativo alla ricostruzione storica degli avvenimenti politici italiani, costituiscono anche un richiamo a considerare la centralità della questione del lavoro nella nostra vicenda politica, economica e sociale. In tal modo saremo fedeli e coerenti all’impegno che varie centinaia di militanti dimostrarono venendo a Firenze nel novembre di trent’anni fa alla Costituente laburista.
Nella foto: Cartolina del Gruppo laburista Regione Toscana, Firenze, febbraio 1998