Mentre il Golan diventa un labirinto di sbarre, la giustizia traccia una linea retta L'ICC il 21 novembre ha spiccato un mandato di cattura per Netanyahu e Gallant

Israele ha ripreso i lavori per la costruzione di un muro di separazione lungo il confine con la Siria, nelle alture del Golan, un progetto avviato nel 2011 e sospeso per anni. Secondo la posizione israeliana, l’infrastruttura, simile a quelle già erette ai confini con Gaza, Libano, Egitto e Cisgiordania, si propone di rafforzare i confini e garantire maggiore sicurezza contro le minacce percepite. Ancora una volta, il muro di cinta come panacea di tutti i mali. Un classico, no? La minaccia, reale o percepita che sia, giustifica tutto, persino l’erezione di nuovi muri. Ma proviamo a guardare oltre il muro: quali sono le implicazioni geopolitiche di questa scelta? E soprattutto, quanto è efficace un muro contro le paure, che spesso sono più intangibili di qualsiasi confine?

Il Golan è un nodo gordiano geopolitico. Conquistato da Israele durante la guerra del 1967 e annesso unilateralmente nel 1981, questo territorio ha assunto un ruolo centrale sia dal punto di vista militare che economico. Le alture offrono un vantaggio tattico, consentendo di monitorare le attività militari siriane e fornendo un cuscinetto naturale contro eventuali attacchi. Ma non si tratta solo di strategia militare. Il Golan è una delle principali fonti di acqua per Israele, grazie al bacino idrico che alimenta il fiume Giordano e il Mar di Galilea. Inoltre, la terra fertile della regione contribuisce significativamente all’agricoltura israeliana, aumentando il valore di una zona su cui convergono mire diverse. La determinazione di Israele a mantenere il controllo sul Golan è evidente, nonostante la schiacciante opposizione internazionale e le ripetute condanne delle Nazioni Unite, che considerano l’occupazione del territorio una violazione del diritto internazionale.

La costruzione del muro ha implicazioni che vanno ben oltre il semplice rafforzamento dei confini. Le attività si concentrano nella cosiddetta zona di disimpegno, un’area istituita nel 1974 per separare le forze israeliane e siriane, sotto la supervisione della Forza di osservazione del disimpegno delle Nazioni Unite (UNDOF). Secondo l’UNDOF, le recenti operazioni israeliane, che includono scavi, trincee e nuove barriere di cemento, violano gli accordi internazionali e rischiano inevitabilmente di aumentare le tensioni. Tuttavia, l’organizzazione si limita a monitorare le violazioni, senza il potere di impedirle, lasciando di fatto mano libera a Israele. Immagini satellitari pubblicate recentemente mostrano un’intensa attività lungo la linea Alpha, con veicoli blindati e forze militari che garantiscono la sicurezza dei lavori. Questo nuovo tratto di muro si estende per oltre sette chilometri, aggiungendo una barriera fisica in un’aerea martoriata dalla guerra, un suolo intriso di sangue, dove ogni centimetro quadrato racconta una storia di morte e dolore.

La strategia israeliana di costruire muri di separazione è stata adottata in passato con esiti che lasciano un retrogusto amaro, come il sapore di un frutto acerbo. In Cisgiordania e a Gaza, queste barriere non hanno impedito attacchi, infiltrazioni o attività di resistenza, come dimostrato dall’Operazione Al-Aqsa Flood del 2023, che ha messo in evidenza gravi vulnerabilità nelle infrastrutture di difesa israeliane. Nonostante ciò, Tel Aviv continua a investire milioni in progetti di questo tipo, sostenendo che rappresentino un elemento chiave per la sicurezza nazionale. Ma l’efficacia di queste barriere è oggetto di critiche non solo per la loro vulnerabilità pratica, ma anche per il loro significato politico e simbolico. I muri, infatti, sono cicatrici che deturpano la pelle del mondo, segni indelebili di divisione e paura. Sono grida di possesso, monumenti all’egoismo e tentacoli che si allungano per soffocare ogni speranza di pace.

Il muro nel Golan è l’ultimo atto di una escalation pericolosa tra Israele e Siria, un’ulteriore fortificazione che cementa le divisioni e alimenta l’odio. Negli ultimi anni, Tel Aviv ha intensificato le operazioni militari in territorio siriano, colpendo infrastrutture strategiche e tentando di interrompere i collegamenti tra Damasco e Hezbollah. La nuova barriera lungo la linea Alpha può essere interpretata come parte di un piano per consolidare una presenza permanente nella regione, ridefinendo di fatto i confini e limitando la libertà di azione della Siria vicino al Golan occupato. Ma questa strategia comporta rischi significativi. La Siria, sostenuta dagli alleati dell’Asse della Resistenza, potrebbe interpretare queste azioni come una provocazione diretta, aumentando la probabilità di scontri armati. Inoltre, il muro potrebbe alienare ulteriormente la comunità internazionale, attirando nuove pressioni diplomatiche su Israele.

Un aspetto cruciale di questa vicenda è la percezione psicologica e simbolica delle barriere. Per Israele, costruire muri non significa solo creare ostacoli fisici, ma anche trasmettere un senso di sicurezza e controllo, sia alla propria popolazione sia alla comunità internazionale. Tuttavia, la storia recente dimostra che queste barriere non sono impenetrabili e che l’illusione di una sicurezza assoluta può essere rapidamente infranta.

La ripresa della costruzione del muro nel Golan solleva, quindi, una domanda fondamentale: Israele sta cercando di garantire la propria sicurezza o di diffondere una narrazione che giustifichi ulteriori politiche espansionistiche? Per la Siria e i suoi alleati, questa iniziativa è una provocazione che potrebbe portare a nuove escalation. Tel Aviv, dal canto suo, sembra disposta a correre il rischio, confidando nel supporto degli Stati Uniti e nella sua superiorità militare. Tuttavia, questa strategia potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio, aumentando l’instabilità nella regione e costringendo Israele a confrontarsi con le conseguenze delle sue politiche. Le alture del Golan, si confermano un palcoscenico eterno dove la storia inscena le sue tragedie più antiche. Ancora una volta, sotto i riflettori di un conflitto senza fine, questo lembo di terra ci ricorda l’incapacità dell’uomo di trovare una pace duratura.

Intanto con Israele che continua a costruire nuovi muri, il mondo assiste a un tentativo di abbattere quelli invisibili dell’impunità. La Corte penale internazionale dell’Aja ha emesso il 21 novembre un mandato di cattura contro Netanyahu e Gallant. Sebbene l’effettivo arresto sembri improbabile, poiché richiederebbe che i due leader mettano piede in Paesi che riconoscono la Cpi, questa decisione ha un grande valore simbolico. È un riconoscimento ufficiale dei crimini di guerra e contro l’umanità compiuti a Gaza, Una verità nascosta sotto strati di ipocrisia, ora esposta alla luce del sole internazionale.

Il mandato rende chiara una verità inaccettabile e intacca l’immagine di invulnerabilità che Israele ha sempre proiettato. Mentre il Golan si trasforma in un labirinto di sbarre, la giustizia traccia una linea retta, un percorso verso la verità che nessun muro potrà mai fermare.