Il giornalista, attivista e fondatore dell'organizzazione umanitaria indipendente Stil I Rise, ha raccontato nel libro "Un mondo possibile" la sua visione di volontariato e l'impegno per garantire l'istruzione all'infanzia dei Paesi poveri

Che scusa abbiamo per non provare a cambiare il mondo? E, attraverso questo, cambiare anche noi stessi? È questa la domanda che sembra porsi Nicolò Govoni, giornalista, attivista e fondatore di Still I Rise, con il suo ultimo libro: Un mondo possibile (Rizzoli). Si tratta di una guida pratica e ispirazionale che intreccia storie, esperienze e immagini dei bambini più vulnerabili del pianeta. Attraverso un racconto intimo e diretto, Govoni ripercorre la nascita e l’evoluzione della sua organizzazione umanitaria, la prima al mondo a offrire gratuitamente ai rifugiati il percorso di studi dell’International Baccalaureate. Un diploma internazionale riconosciuto in tutto il mondo che offre un percorso di studi rigoroso e completo, progettato per preparare gli studenti a una formazione superiore.
Non si tratta solo di garantire la sopravvivenza, ma di lasciare un segno duraturo nei territori in cui l’organizzazione opera. Dalle scuole d’eccellenza in Kenya, Siria e Grecia, fino alle vite trasformate di chi ha trovato una seconda possibilità, il libro invita a riflettere sul ruolo che scegliamo di assumere nel mondo. Rifiutando risposte facili e scappatoie, Govoni propone un nuovo modo di pensare l’attivismo: non più come un gesto caritatevole, ma come un impegno che ridefinisce i rapporti tra noi e gli altri.
Per l’uscita del suo libro Un mondo possibile, Left ha incontrato Nicolò Govoni per parlare del suo percorso, dell’attivismo e delle sfide che questo comporta.

Nicolò Govoni, lei è sempre stato critico verso un certo tipo di attivismo, arrivando a definirlo “volonturismo”. In un momento in cui il suo lavoro è spesso al centro di opinioni contrastanti, che consiglio darebbe a chi vuole avvicinarsi a questo mondo?
Il lavoro che svolgiamo dovrebbe essere visto come il nostro unico atto politico, un impegno che va oltre la routine quotidiana e che riflette i nostri principi più profondi. In quanto membri della società civile, è fondamentale che manteniamo un comportamento imparziale, non solo per etica, ma anche per garantire l’efficacia e la giustizia in ciò che facciamolo. È fondamentale approcciarsi all’attivismo con serietà e consapevolezza, evitando scorciatoie o comportamenti poco etici.

Quando e come ha capito che questa era la sua strada?
All’inizio del mio percorso, mi era stato venduto un sogno vuoto per 1.000 euro. Sono stato mandato in un orfanotrofio in India senza alcuna competenza, formazione o progetto concreto. Quell’esperienza mi ha aperto gli occhi sull’importanza di un volontariato etico. Svuotare di significato un gesto altruista non solo danneggia chi lo riceve, ma alimenta la sfiducia verso le Ong e gli attivisti. Secondo gli ultimi dati dal 2010 la fiducia del pubblico nelle Ong è calato del 20%, è un trend che va fermato. È fondamentale trattare il volontariato con responsabilità e rispetto, perché anche il solo fatto di potersi donare agli altri è un privilegio.

Quali sono i principi fondamentali che garantiscono un volontariato etico, efficace e sicuro?
Dentro Still i Rise, il nostro lavoro si basa su quattro principi fondamentali, le quattro S. La prima sono i soldi: se un’organizzazione ti chiede di pagare per partecipare, significa che il suo interesse principale non è l’impatto che puoi avere, ma il profitto. Questo approccio svuota di significato il volontariato, che dovrebbe sempre mettere al centro la causa e il cambiamento concreto che si può generare. Il secondo principio è la specializzazione. Fare volontariato non significa improvvisarsi: ogni progetto ha bisogno di persone con competenze specifiche e una preparazione adeguata. Solo attraverso la specializzazione si può offrire un aiuto realmente efficace, che porti benefici tangibili alle comunità coinvolte.
La terza S è la selezione. Un’organizzazione che non seleziona i volontari, accettando chiunque senza criteri chiari, rischia di non valorizzare il contributo di ciascuno. Il volontariato deve essere strutturato: è essenziale assegnare ruoli specifici e responsabilità ben definite, per evitare sprechi di risorse o interventi inefficaci. Infine, c’è la supervisione. Anche il miglior progetto, se lasciato senza controllo, può fallire o addirittura diventare pericoloso. I volontari non dovrebbero mai essere abbandonati a loro stessi, specialmente in contesti complessi o in situazioni politiche e sociali delicate. Una supervisione costante garantisce sicurezza, supporto e una gestione etica ed efficace delle attività, assicurando che gli obiettivi vengano raggiunti senza rischi inutili per chi partecipa o per le comunità coinvolte.

Nicolò Govoni con gli studenti di una scuola di Still I Rise

Qual è il nodo centrale delle difficoltà che Still I Rise affronta?
Il diritto all’istruzione è il fulcro di tutto. Ogni bambino ha diritto a ricevere la migliore educazione possibile, indipendentemente da dove nasce. Garantire questo diritto non significa solo trasmettere conoscenze, ma anche insegnare valori, inclusione e capacità di pensiero critico. La nostra sfida è rendere l’istruzione uno strumento di cambiamento reale per chi non ha nulla.

Perché proprio ora ha deciso di scrivere un libro?
Still I Rise è cresciuta enormemente negli ultimi anni, trasformandosi da una piccola realtà in un’organizzazione complessa, che opera su scala globale. Con questa crescita, ho sentito il bisogno di raccontare la nostra storia in modo più strutturato e accessibile, non solo per celebrare i traguardi raggiunti, ma anche per trasmettere ciò che abbiamo imparato lungo il percorso. Questo libro è una riflessione sul nostro lavoro, sui valori che ci guidano e sulle sfide che abbiamo affrontato. Volevo offrire uno strumento concreto a chiunque voglia avvicinarsi al mondo dell’attivismo, una sorta di guida che mostri come un’idea possa trasformarsi in un progetto reale, capace di cambiare vite. Questo libro vuole essere un ponte: tra chi cerca una strada e chi desidera capire come fare la differenza, ovunque si trovi. È anche un invito a guardare oltre i propri limiti, a credere che ognuno di noi abbia il potere di contribuire a un mondo migliore, con coraggio e determinazione. Raccontare tutto questo è il mio modo di dire che cambiare è possibile, anche partendo da zero, con il giusto impegno e una visione chiara.

Qual è il valore più profondo dell’aiutare gli altri?
Aiutare gli altri è un modo per essere utili e fare qualcosa di tangibile, ma anche un’opportunità per conoscere meglio noi stessi. Donarsi agli altri, uscire dalla propria zona di comfort, spesso permette di scoprire una forza interiore inaspettata. Questo tipo di impegno arricchisce non solo chi riceve aiuto, ma anche chi lo offre, dando un significato più profondo al proprio percorso di vita. L’esempio dei bambini con cui lavoriamo è ciò che più mi ha insegnato. Se loro, pur provenendo dalle condizioni più difficili, trovano il coraggio di sognare, rialzarsi e cambiare il proprio destino, allora non ci sono scuse per tirarsi indietro. La loro forza mi ricorda ogni giorno che il cambiamento inizia da un atto di coraggio, anche piccolo, che può trasformare la vita di molti.

Nella foto: marcia di protesta a difesa della scuola a Mathare, Nairobi, Kenya, maggio 2024