Il romanzo "Come arcipelaghi” di Caterina Perali racconta il percorso di una donna che non vuole rinunciare alla maternità pur non avendo un partner. Un caso sempre più frequente in Italia, dove la fecondazione assistita per le donne single è proibita dalla legge 40

Difficile immaginare una risposta più violenta rispetto al desiderio di avere una figlia/o di quella offerta dalla classe politica dominante in Italia, in Europa e nel mondo. Sotto le insegne di tradizione o natura, si denuncia tutto ciò che l’essere umano è riuscito a escogitare per superare alcuni impedimenti biologici o biografici, e si finisce per ridurre il tutto all’atto della riproduzione dentro a un corpo femminile subordinato a ruoli di genere prostranti.
Si parla spesso di “fare un figlio”, come se si trattasse di una produzione industriale; e con questa categoria, si finisce per assimilare davvero le tecniche medicalmente assistite o di gravidanza solidale a qualche cosa di squallido e mercantile. Si stenta ad accedere all’idea che una nuova vita non la si “fa”, ma la si accoglie: c’è chi si prepara a lungo e attivamente, chi la cerca, ci sono quelli a cui una nuova vita capita, c’è chi, tutto sommato, non si sente di poterla accogliere nelle condizioni in cui è. Ma la questione non è quella della produzione, ma dell’accoglienza, così per le vite nasciture, così per le vite umane già presenti su questo pianeta, che spesso preferiamo negare alzando muri e confini.

Si è istituito il reato universale della gravidanza per altri, meschinamente definita “utero in affitto”. Si guardano con sospetto le tecniche con cui persone sterili, coppie omosessuali, single e altri si preparano attivamente ad accogliere un bambino/a. Riducendo tutto questo all’atto della produzione, sfugge il significato che una nuova vita umana ha per chi la cerca: un sentimento di sovrabbondanza, qualche cosa che esonda dagli argini, sia esso amore, sia esso il senso della propria esistenza, qualche cosa che non si contiene più. Quanta povertà in chi degrada a mero egoismo un desiderio capace di oltrepassare limiti biologici.
In Come arcipelaghi, di Caterina Perali si racconta una storia che riguarda tutto ciò.

Il primo impatto con la nuova inquilina del palazzo non è dei migliori: una mattina, Jean sente una voce femminile urlare attraverso la tromba delle scale. Chiara, al telefono, grida: «Mi basta il suo sperma!». Chiara, donna single, giornalista economica, parla con la madre del suo progetto di avere un figlio. Non ha trovato una persona con cui stare, ma questo non è un motivo per non trasformare il proprio amore sovrabbondante in una nuova vita.
Jean è molto diversa da Chiara. Ha una rubrica social che definisce di “Supporto generico”, in cui, attraverso dirette e interazioni con i follower, si occupa di moltissime tematiche. Ma non sembra mai davvero grattare la superficie della realtà: la redazione preferisce non incaricarla di temi per lei difficilmente gestibili, che, con le dinamiche social, diventerebbero dei boomerang nell’entusiasmo del pubblico. Le insicurezze di Jean la costringono a far di tutto per piacere. Si vuole smaliziata, ma sono molti i pregiudizi che chiudono la sua visione del mondo in una prospettiva piuttosto tradizionalista.
Ma Jean non è superficiale; anzi, la sua curiosità è affamata e non le manca la sensibilità. Si appassiona alla storia di Chiara, ne ammira la libertà e la determinazione, si interroga circa questioni che non si era mai posta nemmeno con il suo compagno, come quella della maternità. Si informa e studia, riconoscendo ciò che non sa: le pratiche mediche che Chiara seguirà sono una completa novità per lei.

Nonostante parli di una donna single, Come arcipelaghi di Caterina Perali è un libro sulle relazioni. Su tutte le relazioni, di ogni tipo. Relazioni che non hanno un centro definito, che non ruotano attorno a un nucleo come un ammasso di polvere attorno a un buco nero. Si tratta di relazioni che arricchiscono e che si dispongono a donare ricchezza, tutt’altro che il tossico senso di rapporti che fagocitano ogni energia circolante annichilendo ora l’una ora l’altra presenza. Non siamo isole, siamo arcipelaghi. La consapevolezza che sostiene tutto il libro è che le relazioni non sono fra soggetti autonomi e indipendenti, pronti a incontrarsi: siamo lavori perennemente in corso, la nostra identità muta mentre si attraversano contesti, mentre si interagisce. Percorsi di crescita continui come sperimentazioni che arricchiscono o, comunque, non lasciano indifferenti. Chi stringe queste relazioni non smarrisce sé, ma nemmeno rimane aggrappato alla propria identità. La metafora dell’arcipelago aiuta ad abbandonare l’idea ottusa di soggetti fatti e finiti che leggono situazioni e vi inscrivono i propri fini. Siamo nodi di reti complesse e plurali; e a ogni minima tensione di un filo, l’intera configurazione muta in modi che solo il coraggio può permetterci di esplorare. E in questa matassa di relazioni e contesti da attraversare, può darsi che si accumuli tanto filo nuovo da intrecciare e far diventare vita nuova.

L’autore: Carlo Crosato è ricercatore universitario, si occupa di filosofia politica, è saggista, poeta e critico letterario