Il governo Meloni fa di tutto per riportare a tutti i costi le donne in casa a fare figli nell’ambito della famiglia tradizionale anche se questo significa esporle a violenze, maltrattamenti, abusi e femminicidi

La presidente del Consiglio non delude mai (i suoi mentori). Quando si tratta di riaffermare il secolare dominio maschile sulle donne lei non si tira mai indietro. Ormai possiamo dirlo con certezza dopo più di due anni che è al governo.
Del resto lo aveva annunciato fin dal suo insediamento a Palazzo Chigi, chiedendo di essere chiamata «il presidente del Consiglio». Coerentemente con questa scelta di identificazione con un modello di comando autoritario maschile promuove il premierato (l’uomo solo al comando) e usa il pugno duro della legge (spesso raffazzonata e piena di falle giuridiche) per tacitare qualunque problema di ordine sociale, additando über alles gli immigrati «irregolari» come capro espiatorio.
Le falsissime affermazioni (smentite da tutti i dati Istat, Eures ecc) che Valditara ha scagliato come pietre proprio alla presentazione della Fondazione Giulia Cecchettin, uccisa dall’italianissimo Filippo Turetta sono arrivate come un pugno nello stomaco: «Parlare di patriarcato è solo fare ideologia», ha detto il ministro dell’Istruzione e del merito E poi: ha aggiunto: «Aumentano le violenze sulle donne? Colpa dei migranti».
Giorgia Meloni nei giorni successivi ha pensato bene di rincarare la dose. Intervistata dalla direttrice di Donna moderna, la presidente ha ribadito che i maggiori responsabili delle violenze sessuali sono «gli immigrati arrivati illegalmente». Ed ha aggiunto: «Quando non hai niente si produce una degenerazione che può portare da ogni parte». In pratica ha parlato della povertà come di una condizione criminale.
Per chi avesse ancora avuto bisogno di prove del razzismo e del classismo che detta la linea politica della nostra presidente del Consiglio eccole squadernate. Ma è difficile non intravedere anche una certa dose di misoginia, ricordando anche i paternalistici consigli che Meloni dispensava alle giovani (facendo eco a Giambruno), raccomandando loro di stare attente perché fuori casa c’è il lupo. E non erano solo prediche di Giorgia, madre e cristiana. Dal 22 ottobre 2022 il governo Meloni, «il primo nella storia d’Italia ad essere guidato da una donna», come si legge sul sito del governo, non ha fatto nulla per migliorare la condizione delle donne in Italia. Anzi ha prodotto una serie di provvedimenti che mettono il bastone fra le ruote alle donne che cercano di emanciparsi, di realizzare se stesse e di vivere liberamente gli affetti, le relazioni e la propria sessualità.
Ma cominciamo dalla questione più macroscopica e concreta, quella del lavoro.
Meloni dice che non ci sono mai state così tante donne al lavoro nella storia italiana. Bene, ma i dati (Istat, Lavoro e Welfare ecc.) ci dicono che in Italia lavora una donna su due e che dopo aver avuto figli spesso si è costrette a lasciare il lavoro. Le analisi documentano che le donne sono spesso obbligate al part time involontario, hanno lavori perlopiù precari e (se e quando) raggiungono posti di maggiore responsabilità sono pagate meno degli uomini, a parità di mansione. E il governo Meloni che fa? Dopo aver cancellato il reddito di cittadinanza, nega il salario minimo, ha tagliato i fondi del Pnrr alla costruzione di asili nido e ai Comuni per i servizi, tartassa le giovani madri aumentando l’Iva sui prodotti sanitari per bambini, penalizza le donne single e senza figli facendo loro pagare più tasse delle altre, penalizza le meno giovani tagliando opzione donna per la pensione. E la lista potrebbe continuare ancora.
L’ossessione per la natalità del governo Meloni, a ben vedere, è contraddetta dalle sue stesse politiche. L’ideologia di una mitologica famiglia naturale e di sangue che ha portato questo governo onnipotentemente a pensare di poter perseguire su tutto il globo terracqueo le coppie che ricorrono alla gestazione solidale, cozza con il diritto internazionale, punisce le coppie infertili, nega i diritti dei bambini.
Il governo Meloni fa di tutto per riportare a tutti i costi le donne in casa a fare figli nell’ambito della famiglia tradizionale anche se questo significa esporle a violenze, maltrattamenti, abusi e femminicidi, dacché è proprio nell’ambito domestico che si registrano maggiormente. In proposito la presidente del Consiglio rivendica di aver promosso il reddito di libertà per le donne che hanno subito violenze. Benissimo, ma si tratta di 400 euro al mese, per soli 12 mesi. E come ha fatto notare la sociologa Chiara Saraceno è una misura, non solo a tempo limitato, ma che offre loro una cifra perfino inferiore a quella prevista dall’assegno di inclusione.
L’ossessione per la natalità di stirpe italica che impronta la Lega e Fratelli d’Italia, genuflessi ai diktat di un club per soli uomini, la Chiesa cattolica, fa sì che le donne che decidono di interrompere una gravidanza in Italia debbano affrontare un percorso ad ostacoli. D’accordo, ancora non hanno abolito la legge 194 ma impediscono con ogni mezzo alle donne di esercitare un proprio diritto. Non bastavano le percentuali bulgare di ginecologi obiettori. Ora, grazie al governo Meloni, le associazioni di integralisti religiosi anti abortisti possono imperversare nei consultori pubblici, accusando le donne di essere delle assassine e dando dei sicari ai medici che praticano interruzioni di gravidanza (il papa docet). In un’epoca in cui c’è molto da fare ancora per decostruire e fermare la sopraffazione e il dominio degli uomini sulle donne, Meloni nega che ci sia un problema culturale di mentalità patriarcale che ancora persiste, al di là delle leggi. Tant’è che non vi è più traccia neanche di quella pur discutibile proposta di educazione affettiva nelle scuole di cui aveva parlato Valditara. Guai a parlare di educazione sessuale, potremmo finire arrostite sul rogo come streghe.