Dopo aver collaborato con "mostri sacri” come Joe Lovano, Al Jarreau, Marcus Miller, Ivan Lins, Toots Thielemans, Jack Dejohnette, e anche Wayne Shorter, il pianista Jazz presenta i suo nuovo album

L’uscita del nuovo disco del pianista jazz Antonio Faraò ci fornisce l’occasione per fare con lui il punto sul suo attuale momento artistico. Il suo “Christmas Album” si iscrive nella tradizione di riletture inedite di classici (come l’inaspettato disco natalizio di Bob Dylan di qualche anno fa ma che non fu altrettanto memorabile).

Anche nel Jazz, (che i nazisti bollarono come “Musica del diavolo”) anche se meno frequentemente, molti artisti e soprattutto vocalist del passato, si sono cimentati nel genere con risultati alterni. Antonio Faraò, classe 1965, romano di nascita ma milanese di adozione, è un brillante pianista Jazz ben noto soprattutto all’estero e con alle spalle una ormai lunga carriera discografica iniziata negli anni Novanta. Ora si presenta con il nuovo lavoro Christmas Time (Azzurra Music) che vede la partecipazione del cantante Mario Rosini, con la sua calda voce da “crooner” consumato, con Federico Malaman al basso e Max Furian alla batteria. Il disco presenta dieci brani di con nove standard e un brano inedito, in una selezione di grandi classici, rivisitati in chiave Jazz con calde atmosfere e raffinati arrangiamenti.
Come nasce l’idea di questo disco con la partecipazione del cantante e musicista Mario Rosini?

In realtà già qualche anno fa avevo preparato un arrangiamento particolare per “Jingle Bells” in chiave Jazz, inoltre, avevo buttato giù questo pezzo strumentale in chiave gospel e lo stavo suonando durante un soundcheck con il gruppo del grande Benny Golson (parliamo di diverso tempo prima della sua scomparsa), in quell’occasione il batterista Sangoma Everett ne rimase fortemente colpito. Tempo dopo, grazie alla collaborazione con Mario Rosini che ha scritto le liriche, l’album ha preso forma con l’idea di mettere insieme una serie di altri brani alcuni piuttosto noti e tratti dal classico “american songbook” come “Santa Claus is Coming To Town”, “Let it Snow”, “Have Yourself a Little Christamas”, tutti rivisitati e riarrangiati in chiave Jazz.

“Chistmas Time” in particolare si conclude con un tuo spettacolare assolo finale al pianoforte. Come è nato?
Nella parte pianistica di “Christmas Time” mi sono ispirato al grande Kenny Kirkland (il pianista che collaborò a lungo con Sting) con il quale all’epoca avevo stretto una forte amicizia legata alla nostra stima reciproca. In realtà questo è un album basato su un classico un trio Jazz, insieme a me al pianoforte ci sono Federico Malaman al contrabbasso e Max Furian alla batteria, a cui si aggiunge in tutti i brani la voce di Mario Rosini.
Quindi nell’arrangiamento di quasi tutti i pezzi dell’album è venuto naturale riservare un ampio spazio solistico al pianoforte.

E’ la prima volta che incidi un intero album con un cantante?
In realtà, oltre alle numerose occasioni dal vivo, recentemente anche con la cantante Roberta Gentile, non è la prima volta che collaboro in studio con dei cantanti, mi è capitato abbastanza spesso ed in particolare nel mio album “Eklectik”, che si apre a nuove atmosfere funk ed elettroniche, ove, accanto a musicisti come Marcus Miller, Bireli Lagrène e Lenny White, compaiono diverse voci, tra cui quella del rapper Snoop Dog.

“Quando Nascette Ninno” è invece una famosa melodia popolare.
Si tratta di brano popolare antichissimo, quasi il canto natalizio per antonomasia, ben noto come “Tu scendi dalle stelle”. In questo caso è stato Mario a curare l’arrangiamento con il testo ed il canto in lingua napoletana. Penso che ci troviamo di fronte ad un “esemplare unico”, non credo che ci siano stati dei precedenti di rielaborazione di questa canzone in forma jazzistica.

Come pianista ha una solida fama internazionale, hai avuto modo di suonare con grandi musicisti, parliamo un po’ dei tuoi progetti attuali?
Si, ho avuto nella mia ormai lunga carriera l’opportunità di collaborare, sia in studio che in concerto con alcuni grandi musicisti, tra questi alcuni “mostri sacri” come Joe Lovano, Al Jarreau, Marcus Miller, Ivan Lins, Toots Thielemans, Jack Dejohnette, e anche Wayne Shorter, da sempre mio riferimento artistico, con cui ho suonato, purtroppo una sola volta, a Parigi nel 2015.
In particolare tra i pianisti ho un rapporto particolare con Herbie Hancock, che per ben tre volte mi ha invitato come ospite all’International Jazz Day organizzato dall’Unesco il 30 aprile di ogni anno, con la All Star Global Concert nelle edizioni nel 2015, 2018 e 2024, rispettivamente a Parigi, San Pietroburgo e Tangeri.
In queste occasioni ho suonato accanto a grandi artisti come lo stesso Herbie Hancock, Kurt Elling, Branford Marsalis, Richard Bona e Terri Lyne Carrington.

Il tuo recente album “Tributes”, realizzato con illustrissimi ospiti, vuole essere una sorta di omaggio a tutti questi musicisti?
Esattamente, si tratta di un lavoro inciso per la prestigiosa Criss Cross ed uscito nel luglio scorso, con il classico “Piano Trio” rigorosamente Jazzistico, insieme a me ci sono John Patitucci al contrabbasso e Jeff Ballard alla batteria, ed è un autentico tributo a quegli artisti con cui ho avuto uno scambio o un rapporto umano e professionale particolare, e che sono stati e continuano ad essere incessante fonte di ispirazione per il mio lavoro, tra questi senz’altro Benny Golson, con cui sono stato a lungo in tour, McCoy Tyner, Chick Corea e lo stesso Wayne Shorter. C’è anche un brano particolare, dedicato ai bambini siriani, e per traslato a tutti i bambini del mondo che soffrono per la guerra.

Come ti sei trovato insieme a John Patitucci e Jeff Ballard?
John Patitucci e Jeff Ballard costituiscono senza ombra di dubbio il massimo livello che un pianista Jazz possa desiderare come interlocutori privilegiati all’interno del trio.
La scelta di questi musicisti è legata ovviamente al progetto in quanto, sia Jeff che John hanno collaborato per diversi anni con Chick Corea, e John in particolare con l’ultimo quartetto di Wayne Shorter. Non dimentichiamo inoltre che Jeff Ballard è stato per lungo tempo il batterista di riferimento per Brad Mehldau.

Ed il gruppo “McCoy Tyner Legends”?
E’ stato proprio il figlio di McCoy Tyner, a chiamarmi a far parte di questo prestigioso progetto che riunisce alcuni dei musicisti che hanno collaborato a lungo con il grande pianista con cui ho avuto la ventura di suonare stabilmente con una certa continuità.
In questo gruppo ho condiviso il palco on artisti di livello internazionale come il sassofonista Chico Freeman, il trombonista Steve Turre ed il contrabbassista Avery Sharpe.
Siamo stati in Tour in Europa la scorsa estate e recentemente – a novembre scorso – anche in Italia e torneremo senz’altro anche l’anno prossimo.
Infine una domanda “tendenziosa”: come mai un musicista ormai affermato a livello internazionale come te non ha raggiunto ancora la meritata visibilità in Italia?
Difficile rispondere, soprattutto essendo parte in causa in prima persona. Forse a monte c’è un problema per così dire “politico” in senso lato? Da giovane e negli anni passati questo certamente era un problema, ma oggi, arrivato alla soglia dei sessant’anni e con quarant’anni di professione, vado avanti per la mia strada senza curarmi più di tanto della questione. Posso cavarmela con una battuta: “nemo propheta in patria!”.

In tour: Il  16 gennaio Antonio Faraò Trio  suona all’ Alexanderplatz a Roma. Il 19 gennaio sarà a Milano: Antonio Faraò & Guest – 60° Birthday Celebration Concert – Blue Note

 

L’autore: Roberto Biasco è critico musicale e collaboratore di Left