Antonino Saggio è un teorico dell’architettura, il che rende solo in parte la cifra di un lavoro posizionato in una terra di confine tra information technology e architettura. Da questo osservatorio propone e sperimenta, in quanto coltiva una dimensione laboratoriale che da anni si estrinseca nell’attività della sua cattedra a Sapienza e nel Sicily Lab, modelli teorici tesi ad affrontare quelle che definisce “crisi”, faglie aperte nello spazio sociale. Possono riguardare gli Urban voids romani o un intervento fondato sul recupero del Tevere e della sua infrastruttura viaria o la ricucitura del legame tra un antico insediamento greco (Gioiosa Guardia) e uno contemporaneo (Gioiosa Marea).
Il metodo coincide con la ricognizione sulle stratificazioni, dal digitale, alla storia dell’architettura (ove prevale la predilezione per l’organicismo e il razionalismo del suo maestro Zevi), allo scandaglio di tutto ciò che di nuovo si muove sulla scena dell’architettura, con un occhio particolarmente attento anche a quel che si muove Oltreoceano.
Osservando dall’esterno il suo lavoro, mi sembra che il concetto prevalente sia quello di connessione/intersezione. L’architettura come una delle attività attraverso cui sviluppare relazioni, non limitate agli umani, il cui scopo è il contributo alla creazione di forme di vita nuove; gli architetti partecipano, come gli artisti, i poeti, i filosofi, all’edificazione di quest’opera collettiva dell’umanità. Di qui la sua predilezione per il flusso che è estensione della piega del barocco, allegoria di un mondo che si dilata, multidirezionale, contaminato (centrale il concetto di mixité). Per questo una delle sue opere predilette è il Maxxi, un vero e proprio inno alla tessitura, così come i “suoi” architetti non possono essere che i maestri della decostruzione: Eisenman, Hadid, Gehry.
Al che si pone una questione. La pittura di Antonino Saggio in che relazione è con la sua idea di architettura? A prima vista, si potrebbe pensare alla scissione tra una dimensione raziocinante, l’architettura, ed un’altra, l’arte, dominata da una sorta di slancio vitale volto a celebrare la natura nel colore; impressione suggerita sia dalla predilezione per l’en plein air, sia dal timbro deciso del colore che nel corso degli anni, si vedano le opere a tema siciliano, trova conferma ulteriore. Il punto di partenza è quasi sempre il paesaggio, su cui si staglia una luce abbagliate connessa a tre colori dominanti: blu, giallo, verde. Il blu, utilizzato in una tonalità chiara, non ha nulla di introspettivo rimanda piuttosto alla forza visiva del mare e del cielo siciliani, il verde è ancora più intenso tanto da non corrispondere né ad un effetto moderatore tra colori caldi e freddi né ad un generico richiamo alla natura come sfondo pacificante. Sull’esempio di Matisse, in queste tele prevale la volontà di vivere con pienezza la relazione con il vivente, fonte di gioia e potenza generatrice. A differenza dell’architettura, la pittura di Antonino Saggio non si inscrive nel flusso, sceglie uno spazio e lo trasforma, ma si muove dentro un come se posto al di fuori dei confini immediati della nostra coscienza quotidiana. Una pittura che scommette sulla vita a partire da un rapporto creativo con quanto ci circonda, poiché grazie all’immaginazione possiamo produrre milioni di paesaggi possibili. Ed è qui che il lavoro di Antonino Saggio sull’architettura e quello sulla tela si incontrano.