Mi piacerebbe, parlando di adolescenza, evitare le parole superficialità e confusione, tanto usate, tanto retoriche, ma, se il tema è la sessualità dei giovanissimi, difficile lasciarle da parte. Perché di confusione e superficialità ce n’è e non poca. Anche per noi adulti che cerchiamo di comprendere. Un tempo era impensabile scrivere di come vivessero la sessualità i ragazzi; se lo si faceva era per criticare eventuali esiti inadeguati e contrari alla morale comune. Oggi, benché la vita sessuale dei giovani sia sempre più vista come caratteristica fisiologica e identitaria dello sviluppo della persona, è comunque un tema dibattuto. Non tanto per l’apertura mentale libera da vecchi tabù, quanto, penso, per la realtà storica che non senza preoccupazione percepisce che la sessualità sta perdendo, in alcuni ragazzi, il contenuto di intimità e identità esponendoli al rischio di fallire il delicato passaggio dall’infanzia alla adolescenza. La libertà personale, conquistata fra tante ambivalenze nei decenni passati, di vivere relazioni amorose senza oppressione, sembra oggi diventata una “libertà” svincolata da coinvolgimenti emotivi e propositi di conoscenza e comunicazione reciproca che mette a rischio il benessere psichico dei ragazzi.
Ma da quale prospettiva si osserva l’intimità dei giovani? Le strade più battute sono quella della statistica (A che età lo fanno? I Gen Z sono più precoci e più attivi dei Millennials?), o quella, che nessuno nega, dell’apprensione per i comportamenti a rischio (più della metà non usa il preservativo!) o quella, forse la più limitante per la ricerca, di aiutare i genitori a parlare di sesso ai figli adolescenti. I ragazzi vogliono parlare di sessualità ma non con i genitori. E a ragione. Un conto è rispondere con naturalezza alle curiosità dei bambini, un conto è toccare con figli adolescenti aspetti di crescita intimi che, in quanto passi qualitativi di sviluppo dell’identità, si dovrebbero accompagnare a una maggior separatezza interiore dai genitori.
Si parla tanto di genitore in ascolto (sarà vero poi?), ma quando si tratta di sessualità, gli adolescenti provano per lo più imbarazzo. Scopro che il loro disagio, quando nella condivisione di un film ci scappa una scena di sesso, non è diverso dal mio (magari solo per un bacio appassionato) al tempo dei Boomers! Trovo, allora, meglio affrontare l’argomento lasciando i ragazzi sullo sfondo e vedere quale scenario sociale e culturale noi adulti offriamo al loro risveglio in pubertà.
Non alla quantità guarderei, ma alla qualità: come arrivano i giovanissimi ai primi incontri sessuali? Non all’allarme per il rischio di malattie e gravidanze, ma alla perdita della lentezza del tempo che serve al movimento della mente: è una scelta personale e consapevole? E, fossi genitore, non guarderei al linguaggio adeguato a parlare di sesso, ma al rispetto di un’intimità legittima rendendomi presente e invisibile: non esiste una favola in cui il buio protegge Amore e la luce lo fa fuggire? Benvenuto il dialogo se è vero “conversare”, nel senso originario di “stare-assieme”, e non istruire, mettere in guardia, informare. La disinformazione, che purtroppo c’è, la si contrasta dopo. Prima è “sufficiente” che un genitore, come ogni adulto, per come è, faccia sentire ai ragazzi che la sessualità è esigenza di profondità di rapporto con l’altro e che a volte regala gioia di vivere. Poi, nel momento dell’incertezza, il dialogo nasce spontaneo.
Siamo ormai alla generazione Alpha con i suoi 12-13enni e la riflessione, rispetto a come vivono la sessualità alcuni ragazzi, che più mi preme sollecitare riguarda il livello del clima culturale, formativo, intellettuale che circonda noi tutti e gli adolescenti. La fatuità, la volgarità, la banalizzazione del senso di stare assieme. Battute sceme e immagini volgari sulle donne e sul sesso. L’accettazione della violenza e del sessismo che ci pervade. Molto sensibili all’asterisco inclusivo della lingua, si dimentica che il significato è più del significante. Una società individualistica e prestazionale che, spinge alcuni giovani a sfruttare l’altro come strumento di autoaffermazione. Se non partiamo dalla perdita dei contenuti, vediamo l’effetto, non la causa. Solo offrendo contenuti validi aiutiamo i ragazzi a non perdere la sensibilità per l’altro, presupposto di una sessualità che sia rapporto di conoscenza. Mostrare tutti un’intelligenza sensibile che non deformi e banalizzi il senso vero di sessualità: vivere in profondità il rapporto con un essere umano nella realizzazione di entrambi. Significato difficile che nella sostanza dice che con l’idea-immagine di un rapporto totale, che dà conoscenza di sé e dell’altro, ci nasciamo e sviluppiamo la nostra identità. Nessuno di noi ha chiara memoria di quei momenti, più o meno lontani, più o meno riusciti, ma, benché dimenticati vivono in noi in una esistenza non cosciente che riaffiora intensa quando in pubertà, magari nell’innamoramento, ci travolge un vissuto altrettanto totalizzante. Un vissuto che non dovrebbe andar perduto.
Ho apprezzato due colleghi di Milano che, in un libro sulla pornografia (A. Bassi e D. Della Putta, Pornografia e revenge porn. La sessualità negata, L’Asino d’oro edizioni), colgono il vero rischio psichico a cui i ragazzi vanno incontro, ossia, la violazione di una naturale intimità. «Il furto della bellezza» l’hanno chiamata, mostrando come la pornografia (e per esteso ogni messaggio volgare e scabroso proposto sui social e in rete) possa ledere la psiche di bambini e ragazzi proponendo che la sessualità possa essere senza rapporto profondo, che vada oltre il corpo per il contenuto dell’altro e che sia identità fisica e psichica insieme. Il furto, penso io, della sorpresa dell’innamoramento in pubertà, della sorpresa dell’orgasmo e, anche fra mille incertezze, del coinvolgimento totale che ogni ragazzino merita. Sappiamo tutti, anche intuitivamente, che i contenuti che i ragazzi trovano in rete possono non essere adeguati alla loro età, ma c’è un silenzio colpevole su quanto possano essere deleteri per la mente degli adolescenti più giovani e dei bambini che non sono ancora in pubertà.
Preoccupa una sorta di “scollamento” che si nota fra ciò che i giovanissimi “sanno” sul sesso e ciò che vivono del sesso. Informati su ogni dettaglio, manca in loro, per ovvi motivi di età, un reale vissuto relazionale e quindi affettivo.
Ci sono ragazzine appena undicenni che, bambine nei modi e negli atteggiamenti, prima ancora di un bacio o un batticuore, frequentano con assoluta naturalezza chat spinte ai limiti (o fuori) della legalità e ragazzine, dai comportamenti precocemente “sessualizzati” (se così si può dire), che espongono il corpo esasperando l’aspetto seduttivo ed eccitante. Si percepisce un distacco emotivo nel processo di crescita, una scissione in cui i ragazzini rischiano di perdersi nel percorso di sviluppo e manifestare seri danni psicologici. Allo “scollamento” appena descritto dei più giovani, corrispondono, a volte, nei più grandi manifestazioni di calcolo e distacco. Senza generalizzare, visto che si tratta di un periodo dai tanti cambiamenti interiori, in alcuni si avverte, nella sostanza più profonda, una carenza di interesse vero (di passione?) nello stare con l’altro. Come se innamorarsi fosse da perdenti. Osservo uno scarto di età: se i più giovani vogliono ancora sapere tutto sull’innamoramento, i più grandi cercano i segnali che dicono “io piaccio”. Molto concentrati su di sé e la loro vita hanno una dimensione narcisistica e un atteggiamento cinico nei confronti delle relazioni. A questo si aggiunge un altro aspetto piuttosto diffuso: il fenomeno della violenza all’interno della coppia che non possiamo non vedere come iperbole della pornografia che esaspera stereotipi di genere e sessismo.
Non tutti i ragazzi vedono violenza nel controllare il partner, nell’offendere una ragazza, nell’avere una mentalità da proprietari. Non tutte le ragazze trovano scontato sottrarsi al rapporto quando non lo vogliono: è più importante piacere e che lui non si stanchi di loro.
Se il quadro che ho dipinto è poco luminoso, ricordo anche che tanti ragazzi esprimono in modo curioso e leggero la loro sessualità. Auspico però un’attenzione maggiore alla tristezza immotivata di un quasi 70% dei ragazzi emersa nell’indagine nazionale del Laboratorio Adolescenza e l’Istituto di ricerca Iard pubblicata lo scorso luglio. Una tristezza che voglio leggere come esigenza di crescita e denuncia inconsapevole della povertà di contenuti umani, culturali e formativi che li deruba della bellezza. Non basta certo “educare” alla sessualità e all’affettività i giovani. Occorre una rivoluzione nel vero senso del termine: un rovesciamento che riporti valore e spessore nei rapporti umani. Ovunque, per tutti, grandi e piccini.
Superficialità e confusione possono così diventare in adolescenza incertezza e speranza.
L'autrice: Cecilia Iannaco è psicologa, psicoterapeuta e vice presidente Netforpp
Mi piacerebbe, parlando di adolescenza, evitare le parole superficialità e confusione, tanto usate, tanto retoriche, ma, se il tema è la sessualità dei giovanissimi, difficile lasciarle da parte. Perché di confusione e superficialità ce n’è e non poca. Anche per noi adulti che cerchiamo di comprendere. Un tempo era impensabile scrivere di come vivessero la sessualità i ragazzi; se lo si faceva era per criticare eventuali esiti inadeguati e contrari alla morale comune. Oggi, benché la vita sessuale dei giovani sia sempre più vista come caratteristica fisiologica e identitaria dello sviluppo della persona, è comunque un tema dibattuto. Non tanto per l’apertura mentale libera da vecchi tabù, quanto, penso, per la realtà storica che non senza preoccupazione percepisce che la sessualità sta perdendo, in alcuni ragazzi, il contenuto di intimità e identità esponendoli al rischio di fallire il delicato passaggio dall’infanzia alla adolescenza. La libertà personale, conquistata fra tante ambivalenze nei decenni passati, di vivere relazioni amorose senza oppressione, sembra oggi diventata una “libertà” svincolata da coinvolgimenti emotivi e propositi di conoscenza e comunicazione reciproca che mette a rischio il benessere psichico dei ragazzi.
Ma da quale prospettiva si osserva l’intimità dei giovani? Le strade più battute sono quella della statistica (A che età lo fanno? I Gen Z sono più precoci e più attivi dei Millennials?), o quella, che nessuno nega, dell’apprensione per i comportamenti a rischio (più della metà non usa il preservativo!) o quella, forse la più limitante per la ricerca, di aiutare i genitori a parlare di sesso ai figli adolescenti. I ragazzi vogliono parlare di sessualità ma non con i genitori. E a ragione. Un conto è rispondere con naturalezza alle curiosità dei bambini, un conto è toccare con figli adolescenti aspetti di crescita intimi che, in quanto passi qualitativi di sviluppo dell’identità, si dovrebbero accompagnare a una maggior separatezza interiore dai genitori.
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